Da Casagiove a Pompei. La commovente storia dei fratelli Luca e Pietro Virgilio, accolti nell’ospizio educativo di Pompei alla fine dell’Ottocento
I. La situazione familiare dei fratellini di Casagiove
Verso la fine dell’Ottocento, il padre dei due fanciulli, Giovanni Virgilio di Casagiove, “reduce dalle galere”, dove era stato rinchiuso per scontare una condanna per omicidio, “non sazio ancora di delitti e di sangue”, si diede ulteriormente alla macchia, tentando di uccidere nuovamente, e per questo, venne ancora una volta condannato “a venti anni di reclusione”. La mamma dei due fanciulli, Maddalena d’Amico, invece, colpita per la seconda volta dalla sventura causata dal marito delinquente, viveva, quotidianamente “nell’affanno e nella disperazione”. Rimasta sola con i piccoli Luca e Pietro, le mancava “il necessario alla vita”, tanto da non possedere beni di fortuna, e rimanere senza appoggio alcuno. Pertanto, la signora d’Amico, per cercare di allevare nel migliore dei modi i suoi figli, si vide costretta a lavorare “per guadagnare uno scarso tozzo di pane”. La signora Maddalena, quindi, dovendo pensare al misero lavoro, abbandonò in balia di loro stessi i due figli.
Provvidenzialmente, però, questa situazione di precarietà familiare, venne osservata dal sindaco di Casagiove, il quale, scrisse alla direzione dell’ospizio di Pompei, quando il beato Bartolo Longo era ancora in vita (1841 – 1926), descrivendo il contesto degradante che coinvolgeva quel nucleo familiare: “Togliete, – scriveva il sindaco casagiovese Giuseppe Menditti – dalla estrema indigenza e dalla imminente corruzione un bambino che verrebbe su senza educazione e forse coll’istinto di imitare la vita del suo scellerato Padre”.
II. L’accoglienza presso l’ospizio di Pompei
E’ logico che, l’accenno alla triste eredità paterna creava un pregiudizio, additando in questo modo i giovani fratelli come delinquenti, soltanto perché erano abbandonati a loro stessi, e quindi privi di educazione. In particolare, il primogenito Luca, tendeva maggiormente ad imitare la vita del padre. Per questo motivo, per evitare peggioramenti nello stile di vita, il 1 ottobre 1896, Luca venne accolto nell’ospizio pompeiano, ovviamente “non senza qualche apprensione”, tanto che gli educatori dell’ospizio si disposero “a lottare contro gl’istinti pravi di questo terribile fanciullo”. Quando però, il piccolo Luca Virgilio mise per la prima volta piede nell’ospizio in questione, la fisionomia del giovane si presentò, agli occhi degli educatori tutt’altra che “delinquente”: “La dolcezza dello sguardo, la finezza dei lineamenti delicati sui quali si leggeva la fame patita, la mite soavità dei suoi sentimenti ci rivelarono subito in quell’innocente bambino non già un delinquente precoce e temibile, ma sì invece un’anima candida, un cuore d’angelo”.
Ormai Luca, si trovava già da ben tre anni e mezzo nell’ospizio di Pompei, dimostrando di essere, contrariamente ai pregiudizi, “un caro e buon fanciullo”. Per il suo modo di essere, infatti, per tre anni consecutivi, il 1897, 1898, 1899, Il giovane Luca ricevette sempre un premio in occasione della Festa Civile di maggio: una volta il terzo premio, e per due volte il secondo premio, tanto che le sue belle doti gli meritarono il titolo di caposquadra.
Alcuni anni dopo, grazie alle insistenze di Luca, anche il fratello minore Pietro venne accolto nell’ospizio di Pompei, e la anonima persona caritatevole che aveva raccomandato Luca, così scrisse del fratellino Pietro: “La infelice madre del ragazzo Luca Virgilio, abbandonata alla più squallida miseria, è(ra) continuamente corrucciata dal pensiero dell’altro figliuolo Pietro: il quale, senza alcuna guida e soccorso, senza sorveglianza di sorta, perché la madre è(ra) costretta a far da servente per guadagnarsi un tozzo di pane onorato, fin da ora dimostra(va) una precoce sfrenatezza, e quindi è(ra) inevitabile che, crescendo, si dia al vizio e al delitto, di cui forse porta il germe paterno”.
Fu così che, i responsabili dell’ospizio, il 27 aprile 1899, accolsero il piccolo Pietro di anni 7, “ammettendo il secondo figliuolo del condannato recidivo di Casagiove tra i fanciulli scampati alla delinquenza precoce”. Quando il piccolo Pietro giunse presso l’ospizio di Pompei, appariva agli occhi di chi lo accolse “gracile, macilento, patito”, e “pareva che non sapesse fare altro che piangere”.
(I fratelli Luca e Pietro Virgilio in divisa)
III. L’incontro tra Pietro e il fratello Luca
I responsabili dell’Ospizio, però, erano già abituati a vedere questo tipo di atteggiamento da parte dei fanciulli, ma con Pietro Virgilio fu diverso, perché, nonostante il passare delle ore, “il piccino lacrimava sempre”. Per cercare di acquietarlo, poi, gli furono offerti dolci, confetti, caramelle e giocattoli di ogni tipo, ma nulla, il bimbo continuava a lacrimare. Si pensò, quindi, di condurre il piccolo Pietro, per distrarlo in qualche modo, “nelle officine a vedere i compagni intenti al lavoro”.
Nelle officine, il piccolo Pietro ebbe la gioia di rivedere il fratello maggiore Luca, che lo attendeva da molto tempo, e la scena che si mostrò agli occhi dei presenti per quel felice incontro, fu davvero tenera: Luca, vedendo finalmente il fratellino Pietro, lo strinse a se “tergendo amorevolmente le lagrime che ancora bagnavano le gote”. “Perché piangi? – diceva Luca – qui nessuno piange. Vieni, che ora ti faccio vedere tutta la Tipografia”.
Chiesta, dunque, la debita licenza ai superiori, Luca iniziò a fare da cicerone al fratellino Pietro: “Vedi – spiegava Luca – questi sono i compositori, e quel piccino piccino lì è Nicola Risi. Ha(veva) otto anni appena, e già sa comporre; e ieri in dodici righi ha fatto venti errori soli. Perciò ora si guadagna tre centesimi la settimana”.
Durante la visita “guidata” nelle officine tipografiche di Pompei, il piccolo Pietro smise di piangere, mentre “guardava estatico quell’ometto alto due spanne, che serio serio accumulava lettere su lettere nel compositoio e si guadagnava già tre centesimi per settimana!”.
Colto da una curiosità, Pietro, domandò al fratello Luca se quel bambino sapesse leggere, e immediata fu la risposta: “Ma sicuro che sa leggere. Altrimenti come comporrebbe?”.
Proseguendo nella visita, i due fratelli giunsero nella sala delle macchine, dove Pietro rimase davvero sbalordito nell’osservare “sette macchine tutte scintillanti nei tersi acciai e negli ottoni rilucenti” che erano in movimento. Ma quello che più colpiva Pietro era vedere che, in realtà, gli apparecchi erano guidati “da un piccino poco più grande di lui”.
Tenendosi per mano, i fratelli Virgilio, continuarono la visita, giungendo nella falegnameria, nella sartoria, nella calzoleria, nell’officina delle arti meccaniche e quella dei fabbri ferrai, finché non fecero ritorno alla legatoria da cui avevano iniziata la visita. Mentre camminavano, Luca facevo notare al fratello minore, la presenza dei bambini più piccoli che, all’interno dell’officina tipografica piegavano i fogli e, il piccolo Pietro vedendoli, chiese al fratello di poterlo fare pure lui.
IV. La vita nell’ospizio di Pompei
Non doveva essere per nulla facile, per i fanciulli, soprattutto psicologicamente, la vita all’interno dell’ospizio di Pompei. Il fatto che i fanciulli stessi lavorassero, oggi potrebbe apparire come sfruttamento minorile, ma all’epoca non era così. Anzi, i lavori servivano in parte a distrarre i più piccoli da certe situazioni amare della vita, ma specialmente a formarli, in modo che, una volta usciti da quel contesto, avrebbero in qualche modo, iniziato a camminare da soli lungo le strade della vita.
Pietro Virgilio, pertanto, senza perdersi d’animo, da subito si accostò al fratello Luca, “e tutto intento lo ammirava a piegar fogli, a cucir libri, a metter copertine con la sua svelta disinvoltura di vecchio operaio”.
L’ora del pranzo, senz’altro, era un momento della giornata assai importante per i bambini dell’ospizio, poiché era il momento del ritrovo nel refettorio, tanto che al suono della campanella: “In un attimo tutti e cento gli orfanelli della legge erano passati al rango lieti e felici come uno sciame di passeri”. La presenza nel refettorio, fu per il piccolo Pietro un “dolce senso di beatitudine”, tanto da rammentare “forse i lunghi digiuni forzati fatti fin allora, dei quali portava i segni nel suo corpicciuolo disfatto”.
La sera, invece, una volta suonata l’ora del riposo, ogni squadra si incamminava nella propria camerata. A quel punto, infatti, si tentò di dividere i due fratellini casagiovesi, poiché per età e appartenenti a due squadre diverse, dovevano dormire in due stanze separate. Ecco che, quindi, il piccolo Pietro vedendosi dividere dal fratello Luca, “ricominciò il suo pianto disperato e sconsolato”, e fu così che i responsabili si videro costretti “a prendere il suo letticciuolo e trasportarlo vicino a quello del fratello”, calmandolo finalmente.
Una domenica mattina, Luca “tutto lindo e pulito nella sua divisa delle feste, con tanto di galloni sul braccio”, disse al fratello Pietro che doveva allontanarsi da lui per andare “a comandare la squadra”. Pertanto, invitò lo stesso Pietro a stare seduto e buono. Quindi Pietro, guardava tanti fanciulli vestiti in maniera decorosa, “coi bottoni che parevano d’argento, disposti in bell’ordine come un esercito in miniatura” e, ovviamente, ne rimase stupito. Ma, ancor di più, il piccolo Pietro rimase estasiato nel vedere suo fratello Luca, mentre, a capo della squadra faceva muovere i bambini “avanti indietro, indietro avanti, con una semplice parola”.
Luca era talmente preso dal suo grado di caposquadra, tanto da non poter tollerare che si fosse infranta “la disciplina da chicchessia”, neppure dal fratello. Infatti, chiunque avesse trasgredite le regole, Luca, “come un giudice buono ma giusto”, richiamava subito al dovere. Ma poi, soprattutto nei riguardi del fratello minore, Luca cambiava completamente, “ridiventando subito amici e ricominciando di bel nuovo a trastullarsi insieme, rincorrendosi, giuocando a palla o a mosca cieca”, finché, una volta stanchi si sedevano “in un canto strettamente abbracciati, senza parlarsi, sorridendosi l’un l’altro di un sorriso lieve lieve”.
Ma, probabilmente, il momento più tenero e commovente della giornata, era la sera, quando nella cappella “si inginocchia(va)no vicini vicini” recitando insieme “le loro orazioni col volto soffuso di un celestiale candore”. Essi pregavano in particolar modo per il loro sventurato genitore, come pure per i loro benefattori, e le loro preghiere salivano, certamente, diritte in Cielo.
Nell’ottobre 1899, Luca ebbe il suo primo incontro con Gesù Eucarestia, ricevendo, sempre nel contesto dell’ospizio pompeiano, il sacramento della prima comunione.
V. Un sospiro di sollievo
I responsabili dell’ospizio di Pompei erano, in definitiva, sicuri che i fratelli casagiovesi Luca e Pietro Virgilio, un giorno sarebbero stati la loro consolazione, ma soprattutto la consolazione “della loro buona madre”, la povera Maddalena D’Amico, la quale, “tira(va) la sua vita faticando da serva”. Ma i responsabili, però, non dimenticarono neppure il loro padre, tanto da sperare che, una volta lasciato il carcere, sarebbero stati, in qualche modo, “il sostegno del loro vecchio genitore”.
Fonti
- Calendario del Santuario Pontificio di Pompei per l’anno 1900. A vantaggio delle orfanelle e dei figli dei carcerati in Valle di Pompei, Valle di Pompei 1900.
- Antonio Illibato, Bartolo Longo: un cristiano tra Otto e Novecento, Pompei 1996.
- Pasquale Mocerino, Bartolo Longo: l’uomo della Madonna, Torino 2012.