Il concorso per la parrocchia di Santa Croce in Casagiove e il problema sorto tra i due candidati nel 1939

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“L’ uomo deve entrare nella sua profondità per capire la verità che è Gesù Cristo, questo testimone incomparabile che ha detto: IO SONO LA VERITA’ “

(Joannes Baptista Lotz)

 

 

Premessa

Come è noto, o almeno dovrebbe esserlo, prima del Concilio Vaticano II, i sacerdoti diventavano parroci di una comunità parrocchiale a seguito di concorso. Pertanto, nel momento in cui un beneficio parrocchiale risultava vacante, il vescovo bandiva, appunto, il concorso, a cui potevano presentarsi diversi candidati. Purtroppo però, anche nel caso di uomini “consacrati” accadevano scaramucce e sotto e fuggi per cercare di scavalcare l’altro, anche perché diventare la guida di una comunità di fedeli, risultava essere cosa assai ambita. In effetti, però, almeno per quanto riguarda la parrocchia di Santa Croce in Casagiove (parte della Diocesi di Caserta), il concorso venne bandito a distanza di pochi anni: nel 1937 a seguito del trasferimento di don Mattia Zampella presso la parrocchia di San Bartolomeo apostolo in Centurano di Caserta, subentrò il parroco don Michele Cerreto che poi, nel 1939 venne trasferito presso la parrocchia di San Pietro apostolo in Maddaloni (chiesa collegiata) e quindi, venne bandito nuovamente il concorso per la parrocchia casagiovese, dal quale ne uscì vincitore, come si vedrà, il sacerdote marcianisano don Vincenzo Tartaglione, che guidò la comunità parrocchiale casagiovese in un breve lasso di tempo, dal 1939 al 1944.

 

I. Il concorso

Al concorso, bandito dal presule casertano monsignor Natale Gabriele Moriondo, si presentarono due candidati, entrambe di Marcianise: don Angelo Guerriero e don Vincenzo Tartaglione. Ad esaminarli c’erano tre sacerdoti: don Raffaele Saggese, don Vincenzo Tescione e don Vitaliano Rossetti. Il sacerdote don Angelo Guerriero, al momento della richiesta fatta al presule casertano, per poter essere ammesso alla partecipazione del concorso, presentava un curriculum vitae di tutto rispetto: ordinato sacerdote nel 1930 e nello stesso anno laureatosi in Sacra Teologia, insegnava nelle classi elementari del Seminario diocesano di Caserta. Sempre nel 1930, venne eletto Mansionario del Capitolo Cattedrale di Caserta “in seguito a regolare concorso”, confessore degli uomini, ebbe anche la facoltà di poter confessare le donne presso l’istituto delle Suore Riparatrici in Caserta, nel cui istituto fungeva anche da cappellano. L’esperienza umana di don Guerriero, però, venne scandita anche dalla sua vicinanza ai carcerati essendo, appunto, cappellano delle carceri di Caserta. Oltre all’insegnamento presso il Seminario casertano, don Angelo Guerriero aveva insegnato, in realtà, anche religione nelle scuole Ginnasiali “inferiori” e presso il Regio Istituto Tecnico “inferiore” negli anni 1935 – 1936 e negli anni 1937 – 1938. Inoltre, egli insegnò, sempre religione, presso le scuole elementari dal 1935 al 1938. Dulcis in fundo, il candidato Guerriero aveva esercitato pure il ministero della Santa Predicazione “in diverse occasioni”. L’altro candidato, don Vincenzo Tartaglione, invece, presentava un curriculum più scarno, rispetto al “collega” marcianisano: coadiutore per un anno della parrocchia di San Giuliano martire in Marcianise, coadiutore per un anno e mezzo della parrocchia di San Simeone profeta in Marcianise, confessore per un anno e mezzo, aveva tenute “prediche diverse”, assistente della Gioventù femminile di Azione Cattolica nonché “istruttore dei bambini”, Prefetto d’Ordine (fungente Vicerettore) per un anno e mezzo. Ad ogni modo, al termine del concorso, che si svolse il 16 giugno 1939, le votazioni sancirono che don Angelo Guerriero riportò un punteggio di 13 e mezzo (sulla prova divisa in 3 parti), mentre, don Vincenzo Tartaglione riportò un punteggio pari a 20 (sulla prova divisa in 3 parti).

(Il sacerdote don Angelo Guerriero)

 

II. Il ricorso di don Angelo Guerriero

Il 18 giugno 1939, il sacerdote candidato don Angelo Guerriero, presentava all’ordinario diocesano casertano un esposto in cui faceva trapelare dei problemi, a suo dire, fuoriusciti nel corso della prova concorsuale. Gli esami scritti si tennero presso i locali della Curia Vescovile di Caserta e ad assistere c’era il canonico don Domenico Mingione di Casagiove, in qualità di Cancelliere vescovile che, mentre doveva “controllare” i candidati nel corso della prova, a dire di don Angelo, “consumava la sua colazione o addirittura sonnecchiava”. Secondo il sacerdote Guerriero, queste distrazioni da parte del canonico Mingione, portarono l’altro candidato don Vincenzo Tartaglione a poter consultare “un grosso quaderno di appunti” che, a quanto pare, “ad un dato momento fu per cadere per terra” richiamando, in questo modo, l’ “esplicita” attenzione di don Domenico Mingione. Ma don Vincenzo Tartaglione fece si che il “quadernone” non venisse scovato. Ad ogni modo, però, don Angelo Guerriero, pur essendosi accorto “molto per tempo di queste lunghe consultazioni del sacerdote Tartaglione per delicatezza e soprattutto perché non era suo compito sequestrare quel grosso quaderno”, soltanto alcuni giorni dopo all’esecuzione del concorso, decise per dovere di coscienza di rendere nota la faccenda, chiedendo pure l’annullamento del concorso per don Vincenzo Tartaglione. Non si fece attendere la risposta di monsignor Pietro Gagnor, segretario vescovile, il quale, una volta ricevuta la richiesta di annullamento dell’esame concorsuale del sacerdote don Vincenzo Tartaglione, in data 21 giugno 1939, comunicava che dopo aver “esaminati fatti e documenti e avere uditi i componenti testimoni”, non si poteva dare esecuzione a tale richiesta. Anche l’accusato, don Vincenzo Tartaglione, intervenne tramite una nota “sotto forma di giuramento” del 22 giugno 1939, nella quale affermava che, negava categoricamente di aver portato con se un quaderno di appunti di Teologia morale all’esame concorsuale, ma, contemporaneamente, ammetteva di avere nella “saccoccia” del suo soprabito un compendio stampato di Teologia morale, di cui, però, si era servito la mattina prima dell’esame per ripetere la materia studiata, ma, ad ogni modo, negava assolutamente di “averlo aperto o di essersene servito durante l’esame”.

(Da sinistra: monsignor Natale Gabriele Moriondo vescovo di Caserta e monsignor Giuseppe Pietro Gagnor segretario vescovile)

 

III. Un’adunanza straordinaria

Sulla questione concorsuale si riunirono, in realtà, il 21 giugno 1939, presso la sala del Vicariato generale della curia vescovile di Caserta, gli esaminatori del concorso: don Raffaele Saggese, don Vincenzo Tiscione e don Vitaliano Rossetti, i quali convocati dal vescovo, discussero in merito al ricorso presentato dal sacerdote don Angelo Guerriero. Il vescovo, comunicava, giustamente, la presentazione dal parte del Guerriero dell’esposto “tendente a far annullare il Concorso in questione” nei riguardi dell’altro concorrente don Vincenzo Tartaglione. La ragione di tale richiesta scaturiva, ovviamente, dal fatto che don Vincenzo Tartaglione “durante l’esame copiò” per mezzo di “un grosso quaderno di appunti”. Il segretario vescovile, monsignor Pietro Gagnor, comunicava ancora che, a tal proposito, il sacerdote Tartaglione aveva dichiarato, formalmente, innanzi a lui “di non aver portato nessun quaderno” con gli appunti e, di conseguenza, di non averlo potuto consultare. Tuttavia, gli esaminatori, nonostante il “chiasso” causato dal sacerdote Guerriero, fecero notare “che la sede adatta per la protesta era la stessa sala dell’esame e durante il medesimo”. Pertanto, essi affermavano “che una contestazione postuma non ha(veva) valore” e letto il testo scritto della contestazione, gli esaminatori si resero conto che, effettivamente, esso conteneva “delle accuse addirittura assurde e contradditorie”. Gli esaminatori, quindi, chiesto il parere sulla decisione da adottare, considerate le ragioni ed esaminate le dichiarazioni, unanimemente, ritennero opportuno, considerare valido il concorso svolto dal sacerdote don Vincenzo Tartaglione, e quindi di “non doversi accogliere la richiesta del Guerriero”.

 

IV. La testimonianza del canonico Domenico Mingione

Il polverone alzato dal sacerdote don Angelo Guerriero, in merito alla prova concorsuale, fece, in qualche modo, “tremare”, anche il massimo degli esaminatori: il canonico don Domenico Mingione in qualità di Assistente e Notaio del concorso. Il Mingione, infatti, riferiva tramite una nota del 16 luglio 1939, diretta al segretario vescovile monsignor Pietro Gagnor, quello che effettivamente accadde durante la prova. Per primo, egli vigilò in maniera “oculata, continua, imparziale”, consumando pure “100 grammi di assoluto pane” che teneva avvolto in un pezzo di carta e, secondo lui, questa cosa “non poteva intaccare la vigilanza”. Soltanto, ad un certo punto, riferiva il Mingione che “potette vagare” sui suoi occhi “un segno di sonnolenza” che, tuttavia, non potette “menomare la vigilanza sufficiente a scoprire il minimo tentativo dei concorrenti diretto a copiare”. Il concorrente don Vincenzo Tartaglione, secondo il canonico Mingione, serbò dall’inizio alla fine della prova, “un atteggiamento sereno, tranquillo e quasi immobile”, mentre il concorrente don Angelo Guerriero appariva “nervoso tanto da accusare il bisogno di fumare” e, per di più, il Mingione ebbe l’impressione che il Guerriero, “dati i movimenti imposti con le mani alle tasche della veste, premesse di cavar fuori qualche appunto”. La vigilanza da parte di don Domenico Mingione divenne più insistente nel momento in cui, si accorse che il Guerriero, in un dato momento, “ritirò repentinamente in tasca qualche piccola cosa, non più ampia del palmo della mano, sulla quale aveva fissato una furtiva attenzione come per leggervi”. Al termine della prova concorsuale, don Angelo Guerriero “si trattenne con calma e familiarità” con il Mingione e con l’altro concorrente, allontanandosi poi “col rivale”. Il canonico Mingione, infine, allontanatosi dall’aula era convinto del fatto che il Tartaglione “se pure avesse (avuto) nell’animo di copiare, non potette farlo” sia per la vigilanza adottata dal Mingione, sia “per il timore derivante dalle circostanze in cui s’era preparato il Concorso e nelle quali esso si svolgeva”.

(Il canonico don Domenico Mingione)

 

V. La risoluzione “civile” della questione

Alla fine, la questione si risolse a favore di don Vincenzo Tartaglione, il quale, tramite nota del prefetto di Napoli Giovanni Battista Marziali, si comunicava che già in data 13 luglio 1939 risultava la nomina di don Vincenzo Tartaglione “a titolare del beneficio parrocchiale” di Santa Croce in Casagiove. Invece, con nota del 2 agosto 1939, il prefetto napoletano Marziali comunicava “che nessuna ragione si oppone(va)” alla nomina del sacerdote don Vincenzo Tartaglione “a titolare del Beneficio” parrocchiale di Santa Croce in Casagiove. Fu così che don Vincenzo Tartaglione, il 16 settembre 1939 prendeva ufficialmente “possesso” del Beneficio parrocchiale di Santa Croce in Casagiove, dove rimase come parroco di quella comunità cristiana fino al 1944.

 

Fonti

  • Archivio storico diocesano di Caserta, I.06.07.01. – Busta 45, fascicolo 125.
  • Centro Apostolato Sociale, Giubileo Sacerdotale di Don Angelo Guerriero, Penitenziere Maggiore del Capitolo Cattedrale di Caserta, Caserta 1982.
  • Antonio Casertano, La chiesa parrocchiale di Santa Croce descritta in un verbale “di consegna” del 1939, ViviCampania 2020.

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