Mostra di fotografia “La mia Cina dall’East Village di Beijing in poi …” alla Rocca dei Rettori

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“La mia Cina dall’East Village di Beijing in poi …”, Mostra di fotografia di artisti cinesi dalla metà degli anni ‘90 ad oggi apre i battenti alle ore 11.00 di venerdì 30 settembre 2022 presso la sede istituzionale della Provincia di Benevento alla Rocca dei Rettori nella Sala dell’Acquedotto di epoca imperiale romana.

La Mostra, curata da Rosario Scarpato, promossa dall’Istituto Confucio di Napoli in collaborazione con la Scuola Primaria Bilingue e la Provincia di Benevento, porta all’attenzione del grande pubblico e del visitatore fino al 14 ottobre 2022, con i seguenti orari: 9.00-12.00 / 16.00-18.00 le opere di Dai Guanyu,   Hai Bo,   Han Lei,   Meng, Jin & Fan‘Er,   Xing Danwen,   Zhao Liang  e  Zhu Wei,

Per illustrare l’evento è stata indetta una Conferenza stampa nella Sala del Consiglio Provinciale della stessa Rocca dei Rettori per le ore 10 di venerdì 30 settembre 2022, alla quale i Colleghi Giornalisti sono invitati a partecipare.

Come ha spiegato Scarpato, sinologo, curatore internazionale indipendente, mediatore culturale, promotore di numerose mostre internazionali, vissuto alcuni anni in Cina ove ha fondato, tra l’altro, “offiCina Beijing”, una galleria d’arte contemporanea/agenzia culturale, il progetto alla Rocca dei Rettori consente di esporre alcune opere che sono ancora inedite.

La mia Cina. Dall’East Village di Beijing in poi … presenta alcuni tra i più significativi esponenti dell’avanguardia artistica cinese con opere realizzate dai primi anni ’90, in un periodo di intensa trasformazione urbana e profondi cambiamenti sociali.

Le opere raccontano la Cina contemporanea, il suo legame col passato, la sua storia; catturano il passaggio del tempo, i ricordi, l’aspirazione ad una realtà che si configura come ormai lontana e diversa da quella attuale.

La connotazione affettiva del titolo della mostra fotografica riassume l’esperienza dello stesso curatore nell’arco di un ventennio di vita nel Paese asiatico.

«Provenienti da collezioni private, le fotografie in mostra sono state scattate nel corso del lungo periodo in cui ho vissuto in Cina – ha dichiarato Scarpato -: a contatto con gli artisti, conversando nei loro atelier, sorseggiando una tazza di tè Longjing, durante anteprime di mostre, a spasso tra gli hutong di Pechino, a cena con il baijiu, da Starbucks. Testimoniano i preziosi momenti trascorsi insieme, le conversazioni accese, l’amicizia costruita negli anni, il confronto e la condivisione di idee e progetti; riflettono desideri comuni, custodiscono la memoria di una società che oramai è storia». 

Alcuni autori si sono formati al tempo delle due principali correnti artistiche degli anni ‘80 e ‘90 – il Realismo Cinico e il Pop Politico – quando i giovani artisti hanno cominciato a riflettere sul vuoto esistenziale lasciato dall’era maoista, demistificando i simboli della Rivoluzione Culturale (piazza Tian’an men, Mao Zedong, volti appagati di soldati e contadini, scene di vita campestre e operosità diffusa).

Attingendo a libri, cataloghi, icone e correnti artistiche dell’Occidente (surrealismo, dadaismo, pop art, arte concettuale), questi giovani hanno preso parte alle prime performance e mostre underground allestite in tutta fretta in case private, scantinati, opifici nelle periferie urbane (l’arte di appartamento). In seguito, hanno occupato un quartiere degradato nella zona orientale della capitale, una sorta di ghetto periferico, l’East Village. Al riparo da arresti e chiusure preventive da parte del governo, il villaggio diviene il punto di ritrovo di artisti interessati alla sperimentazione tout court(anche da altre zone del Paese).

Uno spazio di grande sperimentazione, dunque, che permette a personalità come Xing Danwen, una delle fotografe in mostra, di vivere, e affrontare nelle sue opere, l’emarginazione derivante dall’aggressiva urbanizzazione e dal nascente capitalismo.

L’introduzione della fotografia digitale e di stampanti innovative aiuta questa avanguardia ad usare il medium fotografico non solo per sfidare lo status quo ma soprattutto per documentare le proprie azioni performative. Con lei, tanti altri giovani autori -oramai celebrati globalmente, tra cui Ai Weiwei, Cang Xin, Ma Liuming, Rong Rong, Zhang Huan, Zhu Ming – e le loro sperimentazioni, diventano il simbolo della comunità di avanguardia artistica di quegli anni.

Nelle tre decadi successive la Cina si lascia alle spalle l’arretratezza cronica ed emerge sino a diventare la seconda potenza mondiale. I mutamenti repentini causano scompiglio e trasformano radicalmente campagne e città. Vengono demoliti interi quartieri tradizionali, dislocate famiglie, riformato il sistema del pubblico impiego e di protezione sociale, esasperata la trasformazione capitalistica. Reagendo al ritmo frenetico ed esasperato della modernizzazione, molti artisti hanno cominciato a volgere lo sguardo indietro, verso la storia recente del Paese documentando, attraverso la fotografia, luoghi e momenti di un’esistenza collettiva in rapida estinzione.

All’inizio del nuovo millennio, dopo l’esperienza dell’East Village, gli artisti si dividono e trovano rifugio in vari luoghi. Alcuni aprono il proprio studio nei magazzini della Factory 798 a Tongxian, a Caochangdi, alla Liquor Factory, al Songzhuang Village. In questi spazi continuano a concentrare la propria attenzione sul rapporto con la natura, le relazioni familiari, l’identità, l’inadeguatezza e il disagio sociale, l’inquinamento ambientale, il consumismo e la globalizzazione. Il senso di una società che dà sempre più accoglienza all’effimero, lo sviluppo caotico che intacca i rapporti interpersonali e cancella i valori alla base della società cinese sono per gli artisti stimoli di profonda riflessione.

Brevi note sugli autori in mostra alla Rocca dei Rettori:

Dai Guanyu 戴光郁

Protagonista dei primi eventi underground a Chengdu, nel Sichuan (1985 New Wave Art Movement), come performer e fotografo di interventi indoor e outdoor utilizza i suoi ‘ink games’ per riflettere sul peso dell’eredità culturale, sul dovere che ha l’artista di ricordare, sui segni del tempo, sull’effimero dell’esistenza.

Hai Bo 海波

Intimista e dichiaratamente lirico, riprende spesso il crepuscolo figurativo della vita di familiari o sconosciuti (un vecchio che si racconta con un sole calante alle spalle, alberi spogli intristiti sotto il peso della loro stessa grandezza) basando la sua indagine artistica sul processo di osservazione del suo habitat. Sottolinea il trascorrere del tempo, rimarca le storture della modernità e il rapporto tra uomo e ambiente.

Scattate a distanza di 30 anni, due foto incorniciate in un unico quadro, offrono all’artista l’occasione di raccontare una storia che riporta al tempo della spensieratezza. Affiancando l’immagine attuale e l’originale, egli conferisce alla nuova fotografia – nell’istante infinitesimale di un click – l’eternità dell’arte, congelando nello scatto il divario del tempo che passa.

Han Lei 韓磊

Ottimo fotografo, è stato uno dei primi ad occuparsi dei drammi della Rivoluzione Culturale. Nei suoi lavori dallo stile documentaristico, in bianco e nero e risalenti agli anni ’80 e 90’, il suo sguardo si rivolge alla vita di ogni giorno, a scene di strada della sua città natale, Kaifeng. Lo fa preservando una Cina passata con una chiarezza e semplicità che suscitano un certo senso di nostalgia. Nell’opera esposta, in occasione del Capodanno lunare, documenta i probabili effetti dell’inquinamento dell’acqua sulla popolazione del villaggio cinese di Luochuan.

Meng Jin & Fan’Er 孟瑾 & 方二

La coppia di artisti cino-taiwanesi gioca tanto sulla dicotomia tra oggetti reali e il loro contesto storico-sociale. I Love Hotel sono modesti alberghi di periferia. Posti in zone industriali o accanto ad aeroporti, stazioni ferroviarie o di bus a lunga percorrenza, offrono camere divertenti con decorazioni simil-anime giapponesi: letti girevoli, soffitti a specchio, senza finestre, economici e ideali per incontri riservati ed occasionali. La serie esplora l’interesse dei due artisti verso la vita urbana, l’architettura, la memoria e gli oggetti ritrovati per caso nelle stanze e la relazione tra edifici, cose, il loro contesto sociale e la memoria.

Xing Danwen, 邢丹文

Xing Danwen mutua da Cartier-Bresson la rappresentazione dell’umanità e sembra condividerne la prospettiva nel fissare singoli momenti di vita. Abbraccia la fotografia a fine anni ’80 e ci lascia una notevole testimonianza delle performance dell’East Village. Il trittico fotografico Born with Cultural Revolution ritrae una gestante amica dell’artista nel suo appartamento, sullo sfondo l’immagine stereotipata del Presidente Mao assieme aimemorabilia presenti all’epoca in ogni casa cinese. Nessuna separazione tra pubblico e privato, famiglia e realtà sociopolitica. La donna incinta e l’artista sono entrambe portatrici della memoria della rivoluzione, testimoni del passato e responsabili di un suo continuo rinnovamento.

Zhao Liang 趙亮

Affermato documentarista, fotografo e videoartista, vincitore di vari premi internazionali (il suo Behemoth vince il Green Drop Award e sfiora il riconoscimento del Leone d’oro alla 72° Mostra del Cinema di Venezia nel 2015), acclamato per il suo piglio indagatore, diretto e sincero, dei fatti umani e della società cinese, Zhao si muove lungo il confine tra spazio pubblico e sfumature intime creando scene metaforiche della vita quotidiana e rivelando intensi stati psicologici. Ricollocati su pareti segnate dal tempo e disadorne, le sfumature di coppie di oggetti inanimati sono trasformate dall’artista – antropomorficamente – in manufatti dai toni surrealisti e di sorprendente bellezza. Ripresi come se fossero sospesi nel tempo, vengono da luoghi anonimi, ci attraggono attraverso il muto mondo delle cose. Doppi oggetti quotidiani come ombrelli, impermeabili, estintori per associazione paiono suggerire corpi assenti dalla scena ma che erano lì, giusto un momento fa; alcuni dettagli ne evidenziano l’illusione di una intrinseca individualità trasmessa all’oggetto dalla persona a cui è appartenuta o con cui è venuta in contatto.

Ad interrompere la serie di fotografie ed in anteprima assoluta, il video By its own Nature, 2001. Originariamente una video-installazione su tre grandi schermi, qui in modalità monocanale per esigenze di allestimento: una visione bucolica e poetica di grandi foglie di loto in un lago sotto una pioggia gentile, riprese mente raccolgono gocce d’acqua e le lasciano cadere flettendosi sotto il loro delicato peso in un suggestivo gesto di accoglienza che ci ricorda il lento procedere della Natura.

Zhu Wei 朱伟

Ex militare, pittore, famoso per le sculture di terracotta irriverenti e satiriche ma anche per la tecnica di pittura (antica di 2000 anni) che l’artista riprende fedelmente, il gongbi, con la convinzione che “il passato possa servire a rappresentare il presente”. Tale tecnica, caratteristica della pittura cinese tradizionale, si basa sulla precisione della linea di contorno e sull’applicazione del colore attraverso più strati di inchiostro.  La sua è una critica sottile alla società e alla politica cinese contemporanea: il conflitto tra la storia della propaganda socialista nazionale e la frenetica inversione verso un’economia globalizzata.

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