Pietraroja, allevatori e produttori protagonisti del convegno “Aree Fragili della Penisola”

Una bella esperienza condivisa con i pastori transumanti della Sardegna, gli agricoltori dei terreni terrazzate di Trentino-Alto Adige e Liguria e le donne allevatrici di capre di alcune aree del Nord Italia. I 'Petriàni' hanno raccontato del loro duro lavoro, indispensabile alla salvaguardia dell'habitat matesino

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La laboriosa comunità di pastori, allevatori e produttori di Pietraroja protagonista alla XVII edizione del convegno nazionale dedicato alle aree fragili della Penisola, iniziativa organizzata dall’Associazione di promozione sociale ‘Aree Fragili’ di Rovigo insieme al Dipartimento di Scienze e Politiche sociali dell’Università degli Studi di Trieste e dei Dipartimenti di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata e di Territorio e Sistemi agro-forestali dell’Università degli studi di Padova.

La ricca due giorni si è svolta anche quest’anno in modalità online. In una delle sessioni svoltasi oggi, in cui si è discusso di “Pastorizia fra miti e realtà”, è giunta anche la preziosa testimonianza delle aziende del piccolo paese montano sannita, che in questi ultimi mesi fanno rete grazie al progetto  Maestri del Territorio (MaTer) – Persone, produzioni, comunità e modelli economici nelle aree rurali, finanziato nell’ambito della Strategia di Sviluppo Locale 2014-2020 dell’Associazione temporanea di scopo GAL Alto Tammaro – GAL Titerno ed è sostenuta dalla Misura 16 – Tipologia di intervento 16.4.1 (Cooperazione orizzontale e verticale per creazione, sviluppo e promozione di filiere corte e mercati locali).

Pastori, allevatori e produttori si sono ritrovati presso l’ovile dell’azienda Colantone per raccontare del loro legame con l’ambiente dell’Appennino. Con loro c’era Guido Lavorgna, ideatore del progetto, che li ha spronati a narrare le loro esperienze, ben racchiuse nel tema ‘Petriàni: ecosistema generativo nelle aree alte del Matese’. Un’esperienza condivisa con gli altri protagonisti dell’incontro: i pastori transumanti della Sardegna, gli agricoltori dei terreni terrazzate di Trentino-Alto Adige e Liguria e le donne allevatrici di capre di alcune aree del Nord Italia.

In effetti, quello dei pastori, allevatori e produttori di Pietraroja è un lavoro indispensabile alla salvaguardia dell’ecosistema matesino che, come gli altri scenari montani, si è modificato nel corso di questi ultimi due millenni proprio grazie alla presenza degli animali, indispensabili alla concimazione del terreno e che, con il pascolo, fanno da salvaguardia contro lo sviluppo di una vegetazione invasiva. Pascoli e allevamenti a difesa della grande biodiversità matesina, che custodisce preziose specie, come ad esempio la rarissima orchidea Epipogium aphyllum, descritta per la prima volta nel 1845 dal farmacista-botanico cusanese Bartolomeo Paolillo. Quella pianta, che finì in un foglio d’erbario ancora oggi conservato presso l’Orto botanico di Napoli, per più di un secolo e mezzo ha rappresentato l’unica prova esistente della presenza di questa specie in Campania.

Il convegno ha dunque offerto l’occasione per sottolineare ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, l’importanza di valorizzare il valore umano che è alla base del rapporto con la montagna e con gli animali nell’esperienza di Pietraroja. Una comunità che oggi è messa ancora più a dura prova dalle conseguenze dovute alla folle guerra che si sta combattendo in Ucraina, che in solo due settimane ha fatto lievitare il costo dei cereali, passato da 21 a 38 euro, mentre in alcuni casi alcuni fornitori hanno chiuso addirittura i contratti. Questa piccola ma preziosa comunità ha dunque bisogno di Agency, intesa proprio come rappresentanza, ma anche di Advocacy (patrocinio). Questo per dire che il riconoscimento del loro valore umano, sociale e di tutela di quella biodiversità di cui si parla non è affatto scontato.

Tutto questo diventa ancora più necessario se si considera che gran parte della platea di produttori di Pietraroja è composta da giovani. Giovani coraggiosi che hanno deciso di restare ad abitare in questo scrigno di pietra che all’Unità d’Italia sfiorava i 2.500 abitanti, oggi diventati solo 400. Giovanni coraggiosi per cui il termine “fragile” non identifica una manifestazione di debolezza ma la caparbietà di continuare a calpestare «le vestigia degli antichi padri» e la consapevolezza di aver scelto una vita di montagna che non significa restare indietro, ma guardare avanti.

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