La chiesa parrocchiale di Santa Croce, descritta dal parroco don Bonaventura Centore nell’anno 1749
A tutti i giovani casagiovesi dico: non dimenticate mai il vostro luogo natio, siate sempre orgogliosi di pronunciare da dove venite.
Ai “presunti” cultori di storia locale dico: la microstoria si ricostruisce pian piano, compiendo anche sacrifici, per amore della verità, per amore verso la comunità locale.
I. La chiesa parrocchiale
Il 2 gennaio 1749, il “moderno Curato” nonché parroco della chiesa di Santa Croce in Casanova, don Bonaventura Centore, si apprestava a redigere l’inventario “di tutti i beni mobili” facenti parte della citata chiesa parrocchiale. L’inventario, veniva redatto “colla presenza ed assistenza” di Simio (Simeone) Martone ed Alessandro Menditto, “uomini vecchi, e sindaci di detto Casale di Casanova”, i quali risultavano “similmente informati de beni, frutti e rendite, ragioni ed azioni” di pertinenza della chiesa parrocchiale. La chiesa parrocchiale che, in quell’epoca appariva come rettoria dell’illustrissimo monsignor Giovanni Barba, vescovo di Bitonto, era ubicata appunto, nel casale di Casanova, “presso la strada di Santa Croce, ed anticamente si chiamava la strada di Sant’Antonio”. Il sacro edificio confinava “con li beni delli Signori Galise della parte dell’Oriente, e mezzogiorno”, dalla parte di Occidente, con i beni dei “Signori Santoro”, mentre, dalla parte di Settentrione con la “via pubblica”. Non si era a conoscenza, però, del fatto se la chiesa fosse stata nel passato, effettivamente consacrata. Due porte caratterizzavano la chiesa, una delle quali “have(va) l’esito con poco d’atrio di detta Rettoria, ed altra coll’esito alla via pubblica”. All’interno del sacro edificio c’erano tre altari: l’altare maggiore “con l’immagine di Sant’Elena nel ritrovamento che fé della Santa Croce, dietro del quale altare vi sta(va) un poco di largo” che serviva “per comodo di Sacristia, perché non v’è(ra) Sacristia in detta Rettoria”. Una cappella “laterale” con relativo altare era dedicata alla Madonna del Rosario “con la sua immagine e la di lei statua dentro il nicchio sopra l’altare di detta Cappella incavata, alla quale vi è(ra) la Confraternita de fratelli, e sorelle” che pagavano “una cinquina al mese con il peso de legati di messe, e messe contate ogni prima Domenica del Mese”. Questa Confraternita laicale posta sotto gli auspici della Vergine del Santo Rosario possedeva, inoltre, “la fossa separata dagli altri, che sta(va) dentro detta Cappella, ed anche una fossa per li bambini, come si vedeva dall’inventario degli economi e cassieri dalli quali è(ra) amministrata”. Il terzo altare era intitolato alla Vergine Assunta in Cielo, dove erano presenti le immagini “con le figure di due Santi”: una di Sant’Antonio abate e l’altra di San Donato (vescovo e martire di Arezzo). L’altare della Madonna Assunta era di “juspatronato” della famiglia dei signori Santoro “di detto Casale, ed al presente è(ra) beneficiato di detto Altare e cappella”, il reverendo canonico don Girolamo Santoro, “il quale have(va) il peso di detto Altare, e di portare messe numero cinquantadue annue, nella quale chiesa vi è(ra) anche la fossa per detta famiglia”. Nel distretto della chiesa parrocchiale di Casanova vi era la presenza della cappella “degli Signori Fusco” con “il peso di messe numero incerto”. Sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale vi era “l’apparato di due fila”, dove, “al primo gradile” erano poggiati “sei candelieri indorati, e sei frasche con li suoi buccari indorati”, al “secondo gradile” invece, erano poggiati “quattro candelieri, e quattro frasche e suoi buccari, assieme con lo crocifisso sopra detto altare con carta di Gloria”. Come è noto, prima dell’Editto di Saint Cloud del 1806, emanato dall’imperatore Napoleone Bonaparte, il seppellimento dei cadaveri avveniva nelle chiese, oppure nelle immediate vicinanze. Per questo motivo, infatti, anche nella parrocchiale di Santa Croce, come già precisato, vi era “dentro la Cappella del Santissimo Rosario” la presenza di “due fosse” per seppellire i morti, di cui una “comune a tutti” e l’altra “per i bambini”. Queste due fosse, erano però “separate da due altre sepolture particolari”: quella dei confratelli della Confraternita del Rosario e quella della famiglia dei signori Santoro. All’interno della chiesa parrocchiale era presente un battistero “di legno” coperto da una veste in pizzo “zangallo” (sangallo) di colore bianco, mentre, all’interno vi era un “vaso di rame” con il suo “cucchiaino di stagno” utilizzato per prendere l’acqua benedetta per l’amministrazione dei battesimi. Nella parte “di Oriente” del sacro edificio, e più precisamente “sopra la muraglia” vi era il campanile composto da due campane “di comune accordo”, di cui una piccola “con la figura della Santa Croce con lettere attorno”, ed una più grande “con le figure del Battesimo di S. Giovanni da una parte, dall’altra parte le figure della Beata Vergine con il Bambino, ed il Padre Eterno di sopra con lettere ANNO DOMINI MLXXXIIICCCVI” (?).
II. I beni della parrocchia
La parrocchia di Santa Croce di Casanova possedeva diversi beni, sia a livello economico, quanto a livello materiale come ad esempio proprietà terriere e case. In primis la parrocchia era in possesso di una casa “per abitazione del Curato”, caratterizzata “in due camere, e un basso con supportico, e porta, ed altre comodità contigue alla detta Chiesa”. Per quanto riguardava il possedimento di beni stabili “per mantenimento del Curato”, si riscontrava “un pezzo di territorio arbustato di moggia tre di pertinenza di Casanova (di) Capua” nel luogo “dove si dice(va) Santo Paolo”, terreno che confinava con “li beni” dei signori Mingione “da mezzo giorno”, con “li beni” dell’illustre marchese Paternò “dalla parte dell’Oriente”, con la “via pubblica” ad Occidente, con “li beni” di Pietro Angelo Amico a Settentrione e dove “stava affittato” un tal Giovanbattista Gallo, come appariva “per cautela” (atto) del magnifico notaio Scialla di Casanova, “per tomola dieci di grano, e ducati dieci”. Un altro “pezzo di terreno” di “passi quaranta”, anche questo “in pertinenza di Casanova di Capua”, era situato nel luogo detto “l’Arbusto” ed era confinante verso Oriente, con i beni di proprietà dei Reverendissimi Gesuiti di Capua, verso Occidente con i beni delle Reverendissime Dame Monache del Convento di San Giovanni in Capua, verso Mezzogiorno con i beni “degli eredi di Mingione”. Questo terreno, era stato dato “in affitto” a un tal Angelo Cimmino di Casanova “per ducati nove e mezzo”. Un altro “pezzo di terreno” di “moggia due campestre”, situato nella pertinenza di Caserta, nel luogo che veniva denominato “il Butracchio”, confinante con i beni del Capitolo della Cattedrale di Caserta, i beni di Francesco Diomede, la via pubblica ed altri. Questo terreno venne ereditato dalla parrocchia di Santa Croce dai coniugi Cometta Ianniello e Bartolomeo Santoro nell’anno 1656. I coniugi chiedevano inoltre al parroco di Santa Croce, in cambio della donazione del loro terreno, di poter essere ricordati in eterno attraverso la celebrazione di messe “numero quaranta annue”, messe che venivano segnate sulla “tabella” della chiesa parrocchiale. Questo terreno venne dato “in affitto” a un tal Donato Viscardo e a suo figlio Giovanni “per ducati quattordici”, come appariva da un atto notarile redatto dal notaio Matteo Masiello di Caserta. Un altro “pezzo di terreno campestre” di “moggia due” era situato nel territorio di Capua “nella pertinenza di Casappulla, dove si dice(va) alla Cerasola”, confinante con i beni “del gran Baldino di Capua”, dalla parte di Occidente con i beni dei signori Iannotta, ad Oriente con i beni del parroco Rienzo di Capua, dalla parte di mezzogiorno con la via pubblica e si possedeva “ab memorabili”. Infine, questo terreno situato in Casapulla era stato dato in affitto ad un tal Natale di Natale “per ducati undici”. Similmente, un altro pezzo di terra “di passi trentacinque” era situato nella “pertinenza di Caserta” e più precisamente nei pressi del casale di Briano nel luogo detto “li Quaranta”. La parrocchia di Santa Croce possedeva questo ultimo terreno in virtù di una permuta “d’un giardino che prima possedea e contiguo alla casetta della Chiesa per l’abitazione del Curato” come appariva negli “Acta nella Corte Vescovile di Caserta”. Questo stesso terreno, poi, era stato dato in affitto a un tal Domenico di Staula “per tomola quattro di grano e carlini trentacinque, perché arbustato”.
Un Capitale pari a “ducati cinquanta”, vennero invece lasciati al curato di Santa Croce, dalla nobile Isabella Grauso nell’anno 1647 addì 5 aprile, attraverso rogazione effettuata dal notaio Gerumusto (?) del fu notaio Filippo Viglione “seniore di Casanova”, il quale terreno però era stato dato a un tale Cesare di Giacomo di Puccianiello “con l’ Assenso della Corte Vescovile di Caserta” per annui “carlini trentacinque”, a seguito della stipula dell’atto notarile da parte del notaio Scialla di Casanova. Un altro capitale “di ducati trentacinque” erano stati lasciati alla chiesa dal nobile Giuseppe Guglielmo, “olim Parroco di detta Chiesa”, attraverso l’atto notarile rogato dal fu notaio Filippo Viglione “seniore di Casanova” nel mese di gennaio dell’anno 1647, e in quel periodo in cui si redigeva il presente inventario, si trovava dato a un tal Domenico Vozza e al figlio Michele attraverso decreto della Corte Vescovile di Caserta, “per la vendita di costi trentauno, e grana due annue”, come appariva “per strumento” per mano del notaio di Casanova, Filippo Viglione.
Un ulteriore capitale “di ducati venticinque”, era stato lasciato alla chiesa parrocchiale da Giovan Pietro Santoro l’8 marzo 1656, “col peso di messe numero otto annue” come appariva dalla tabella, e, lo stesso censo andava dato a Nicola Martuccio “ed al presente girato”, “sopra li beni” di Nicola Mingione “come per strumento” per mano del notaio Filippo Viglione, e la chiesa parrocchiale ne percepiva “annui carlini venti”.
Un altro capitale “di ducati venticinque, e per essi annui carlini diciassette e mezzo”, possedeva la chiesa parrocchiale, col patto però “da pagarsi” da Francesco di Lillo, “come strumento per mano del Notaio Urso di Casapulla e per decreto ottenuto dalla Corte Vescovile di Caserta”.
Infine, la chiesa di Santa Croce aveva “le decime tomolo due di grano, e ducati sei consistente in un tomolo per il massaro, e carlini cinque per li fuochi bracciali, ma di malissima esazione”.
III. La celebrazione delle sante messe
A conclusione dell’inventario della chiesa parrocchiale di San Croce, il sacerdote don Bonaventura Centore passava in rassegna l’elenco delle messe che era tenuto a celebrare annualmente, ovviamente in cambio di compensi economici. In primis, tutti i giorni festivi, il parroco celebrava la messa “pro populo”, con un compenso che scendeva a “un carlino la messa ducati otto, e tarì uno secondo i giorni festivi”. Quaranta messe annue erano celebrate per l’anima del “gran” Bartolomeo Santoro, di Isabella Ianniello e dei suoi figli, “nell’Altare Maggiore”. Venti messe annue venivano celebrate, presso l’altare maggiore, in suffragio dell’anima di Isabella Grauso. Otto messe annue venivano celebrate, presso l’altare maggiore, in suffragio di Giovan Pietro Santoro e dei suoi discendenti. Sei messe annue da celebrare in suffragio di Giulia Menditto. Cinque messe annue in suffragio di Giuseppe Guglielmo. Il parroco, poi, portava il peso di “annui ducati otto” per l’olio che ardeva accanto al Santissimo Sacramento “giorno e notte”. Cinque ducati annui erano previsti per la festa della Santa Croce, titolare della chiesa, “quale peso anche spetta(va) al Rettore”. Per le candele di cera, invece, venivano spesi annualmente, “ducati quattro”. Per quanto riguardavano le “limosine ai poveri, che sempre accade(vano)”, e “per qualche piccola riparazione de suppellettili”, queste spese spettavano esclusivamente al parroco, il quale spendeva “ducati sei in circa”.
IV.Aggiunta: le dichiarazioni del parroco don Bartolomeo Argenziano agli inizi dell’Ottocento
Agli inizi del XIX secolo, e in concomitanza con gli inizi del “decennio francese” (1806 – 1815) nel Regno di Napoli, chi si trovò a dover guidare la comunità parrocchiale di Santa Croce nel casale di Casanova, era il sacerdote don Bartolomeo Argenziano. Il sacerdote, il 18 dicembre 1806 rilasciò alcune dichiarazioni, affermando che era lui ad esercitare la cura delle anime di Santa Croce, dato che la parrocchia le era stata conferita “per via di concorso”. Il parroco Argenziano, poi, teneva a precisare che la sua parrocchia in Casanova “dalla parte della Diocesi di Caserta” era “la di lui antica matrice”. Il parroco Argenziano, tramite quest’ultima affermazione, ci fa capire che doveva avere una certa conoscenza della storia locale, dato che la chiesa di Santa Croce era, ed è la più antica ad essere documentata (anno 969, epoca Longobarda). E’ ovvio però che don Bartolomeo non intendeva “antica matrice” come chiesa che avesse preminenza sulle altre presenti nel casale, ma, come già detto, da un punto di vista prettamente storico. In quello stesso anno, il parroco Argenziano riferiva al vescovo di Caserta che, nella giurisdizione della sua parrocchia “le anime esistenti ascende(vano) al numero 543”. I sacerdoti presenti nel casale, poi, erano due: “dal parroco in fuori, cioè uno per nome don Alessandro Scialla, prete della Diocesi di Capuana, incardinato alla Parrocchia di S. Michele di questo stesso casale”, il quale, da più anni “sta(va) dimorando in questo distretto”. Un altro sacerdote, che non era parroco, era don Nicola Santoro “addetto a questa Chiesa Parrocchiale” di Santa Croce. Infine, il parroco don Bartolomeo Argenziano riferiva che non vi erano, nella giurisdizione della sua parrocchia, “né Diaconi, né Suddiaconi”.
Fonte
- Archivio Storico Diocesano di Caserta, I.07.02.12. – Fascicolo 25