I rapporti poco idilliaci tra il parroco don Salvatore Mingione e un gruppo di pensionati, nella Casagiove del 1946

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“Che gran cosa essere sacerdote! Se il sacerdote stesso lo capisse, ne morirebbe”.
(San Giovanni Maria Vianney)

Premessa

Il presente saggio, come qualcuno potrà pensare, non è assolutamente una critica verso l’operato e l’atteggiamento assunti dal prelato coinvolto nella vicenda, ma mette nero su bianco semplicemente l’obbiettività dei documenti. Chi frequenta gli archivi storici (e davvero pochi), di sicuro si sarà imbattuto in documenti riguardanti i poco lodevoli atteggiamenti assunti dagli ecclesiastici, in più occasioni andando in contrasto con i dettami della Chiesa e gli insegnamenti evangelici. I sacerdoti d’altronde, sono uomini con pregi e difetti, anche se purtroppo, la società attuale tendente all’anticlericalismo, spesso pone alla luce del sole più difetti che pregi dei religiosi. Il più delle volte, però, queste critiche vengono mosse da persone che per nulla frequentano la Chiesa (le Parrocchie) e per nulla si nutrono della Parola del Signore. Bisogna “frequentare” e conoscere quella folta schiera di sacerdoti che, giorno dopo giorno, divulgano dovunque la Parola e nel silenzio operano la più altruistica carità verso tutti, indistintamente dalla classe sociale e dalla etnia di appartenenza. Possiamo affermare che, Casagiove, allo stato attuale, provvidenzialmente possiede sacerdoti che hanno il popolo “nel sangue” e tanto hanno fatto e continuano a fare per l’intera comunità cittadina, quella stessa comunità che spesso li denigra, dimenticandosi facilmente del tanto bene che ogni giorno attuano per rendere Casagiove una città santa.

 

12 luglio 1946: don Salvatore Mingione contro un gruppo di pensionati casagiovesi

Alcuni uomini di Casagiove (si trattava di: Lorenzo Russo fu Pietro commerciante di anni 46, Michele Capriano fu Giuseppe pensionato dello stato e segretario dell’Associazione del Cuore di Gesù di anni 70, Antonio Ianniello fu Elpidio presidente dell’Apostolato della Preghiera di anni 73, Michele Campanile fu Luigi pensionato di anni 60, Michele Recchimusso di Alfredo ferroviere di anni 50, Vincenzo Mingione fu Michele meccanico di anni 57, Saverio Scialla fu Giuseppe procuratore di conciliazione e organista di anni 75), “tutti vecchi pensionati” che avevano in parte varcato “la settantina”, amavano qualche volta, durante le ore di svago “trattenersi in un vano terraneo di via Iovara” di proprietà del sacerdote don Francesco Mingione “di anni 71” e parroco “da 46 anni di una misera Parrocchia di Coccagna”. Nel locale in questione, gli anziani discorrevano “di problemi interessanti, delle leggi che si volevano preparare a riguardo e delle enormi difficoltà alimentari ecc…”. Ebbene, questa situazione fece innervosire l’altro parroco, don Salvatore Mingione, dove appunto via Jovara rientrava nella giurisdizione della sua parrocchia di San Michele Arcangelo, tanto che trovandosi già in dissidio “col primo” (don Francesco Mingione), riteneva che i pensionati poiché si riunivano, trattassero argomenti come “le sue prodezze e questioni” che giornalmente andava “inscenando con gli altri parroci di S. Croce e Coccagna e che il pubblico commenta(va) poco favorevolmente”. Perciò, dicevano i pensionati: “ammalato com’è(ra), ossessionato per lo scaccio subito recentemente per la processione del Corpus Domini di S. Croce e per le atre sue gaffe”, cercava in tutti i modi di sfogarsi contro i poveri pensionati, accusandoli “nientemeno che di parlar male della Religione, di essere massoni, di offendere il papa, i vescovi e cardinali ecc…”. Queste accuse però, non intimorivano gli anziani uomini perché a loro dire, non valeva la pena “occuparsi di simili basse e volgari insinuazioni”, che partivano “da una mente esaltata che di sacerdote non ha(veva) se non l’abito, tanto è(ra) lurida la sua coscienza”. I pensionati avevano intuito il fine del sacerdote Salvatore Mingione, nel cercare a tutti i costi “di nuocere al parroco don Francesco”, il quale però risultava “amato e venerato dal popolo per la sua grande carità e per il suo attaccamento al dovere”. Tutte queste motivazioni portarono i pensionati casagiovesi a rivolgersi all’arcivescovo di Capua, monsignor Salvatore Baccarini, affinché non avesse tenuto conto delle “insinuazioni fatte dal Signor Don Salvatore Mingione”, invitandolo in maniera davvero eclatante a mandarlo “in un sanatorio a curare la propria mente malata e liberare Casagiove da un individuo oggetto di scherno e di disprezzo nonché di commenti da parte della intera cittadinanza”. Gli stessi pensionati, sulla difensiva, decisero allora di elencare alcuni argomenti che, coinvolgevano in parte loro stessi e in parte don Salvatore Mingione. I poveri uomini ritenevano infatti che la religione Cattolica Apostolica Romana era stata da loro “succhiata col latte materno” ed era la religione che veneravano e praticavano “al disopra di qualsiasi ideologia politica”, poi ovviamente, nutrivano una certa riverenza per il Sommo Pontefice Vicario di Cristo e perciò professavano verso di lui il loro “rispetto e affetto”. Continuavano i pensionati dicendo che stimavano e veneravano “tutti i sacerdoti, Cardinali, Vescovi come ministri di Gesù Cristo ecc…” e che mai si sarebbero permessi di “mettere in dubbio le verità evangeliche e tutto quanto la Chiesa insegna(va)”. Inoltre, gli anziani tenevano a precisare che mai e poi mai avrebbero “aderito alla Massoneria e ad altre Sette contrarie alla Sede Cattolica”. Questi ultimi argomenti messi in ballo dai poveri pensionati, erano stati comunicati all’arcivescovo di Capua monsignor Salvatore Baccarini, perché fossero stati dissipati i sospetti “sulle loro idee religiose e sulle finalità di qualche eventuale riunione nella casa del Parroco Don Francesco Mingione”. Gli agguerriti  uomini però, non contenti, decisero allora di rendere noti anche diversi comportamenti “poco consoni” addottati dal parroco di San Michele Arcangelo don Salvatore Mingione. In base alle dichiarazioni rilasciate dai pensionati, il parroco don Salvatore Mingione aveva trasformata la parrocchia “per simonia in una agenzia di affari”, aveva permesso per vari anni di far deporre all’ex sacrestano Antimo Fiorillo fu Vincenzo, “il SS. Sacramento nell’urna del Sepolcro il giovedì santo”. Ancora, lo stesso sacerdote Mingione “non accende(va) la lampada del SS. Sacramento” o meglio, “ad una certa ora la smorsa(va) per economizzare l’olio che gratuitamente riceve(va) dai fedeli”. Non del tutto idilliaci dovevano essere poi i rapporti con gli altri parroci casagiovesi, tanto che durante il passaggio della solenne processione del Corpus Domini della parrocchia di Santa Croce, “chiuse la Chiesa e non fece suonare le campane”. Altri fatti alquanto “tristi” coinvolgevano il prelato di Casagiove: da sacerdote “non assiste(va) i moribondi”, mentre, con la scusa di una ipotetica costituzione di un ospizio “spilla(va) denari al prossimo senza darne conto a chicchessia”. Dulcis in fundo poi, sempre a testimonianza dei pensionati, don Salvatore Mingione intascava il ricavato “delle questue domenicali” che, a quanto pare, doveva essere trasmesso alla Curia arcivescovile capuana e che però inviava soltanto “parzialmente”. I pensionati avrebbero voluto continuare il discorso nei riguardi del parroco don Salvatore Mingione, ma, tutto quello che avevano elencato dava prova che il prelato casagiovese non soltanto dava cattivo esempio verso i suoi figliani, ma, in qualche modo, offendeva pure l’autorità e “l’illibatezza” dell’arcivescovo di Capua monsignor Salvatore Baccarini, tanto che il parroco Mingione proclamava “che egli se ne infischia(va) dell’autorità Superiore”. Al termine della loro testimonianza, i pensionati credevano “di aver chiarito abbastanza la figura morale dell’illustre Parroco Don Salvatore Mingione” e certamente l’arcivescovo capuano aveva “mezzi più idonei” per accertare quanto era stato detto dai pensionati. Alla fine, i pensionati esordivano chiedendo di poter allontanare dalla parrocchia di San Michele Arcangelo in Casagiove, “questo Arlecchino in veste talare, stupido, inconcludente, maligno e speculatore e senza scrupoli pur di far denaro disonora(va)  la Religione – Clero e Chiesa”.

Fonte

  • Archivio storico arcivescovile di Capua, fascicolo Arciconfraternita di San Michele Arcangelo di Casagiove. La lettera rivolta all’arcivescovo di Capua, monsignor Salvatore Baccarini, è datata 12 luglio 1946.

 

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