La chiesa parrocchiale di Coccagna descritta dal parroco don Francesco Fiano nella seconda metà dell’Ottocento
Premessa
Le notizie “sulla parrocchiale chiesa di Coccagna” che qui si presentano, altro non sono che la puntigliosa osservazione da parte del parroco dell’epoca, don Francesco Fiano, il quale aveva ottemperato alle disposizioni emanate dall’Arcivescovo metropolita di Capua, il cardinale Francesco Saverio Apuzzo, in occasione della Visita Pastorale che il presule capuano espletò dal 1873 al 1875. Si trattò, senza ombra di dubbio, di una Visita al quanto completa ed interessò tutto il territorio della vetusta Chiesa capuana. Dunque, l’ordinario di Capua, aveva provveduto a far pervenire a tutti i sacerdoti della arcidiocesi, il questionario attraverso il quale, anche il parroco di Coccagna ebbe l’opportunità di narrare “inconsciamente”, seppur nel limitato lasso temporale, la storia della sua comunità parrocchiale. Una comunità parrocchiale quella del Villaggio di Coccagna, nata, rispetto alle altre due parrocchie vicine e presenti nell’allora casale di Casanova (San Michele Arcangelo e Santa Croce), in un tempo relativamente recente e come “costola” della chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo, la quale, prima ancora dell’istituzione della parrocchia in Coccagna, era proprio la chiesa di San Michele Arcangelo di Casanova ad avere la “spirituale giurisdizione” sugli abitanti del villaggio adagiato sulle pendici tifatine. Nella redazione del presente saggio, come si potrà vedere, non si è tenuto conto dell’elencazione di tutte le suppellettili sacre, per non dilungare troppo l’argomentazione.
I. Una storia “recente”
L’istituzione parrocchiale della chiesa di Santa Maria della Vittoria in Coccagna, nasce in un’epoca relativamente recente, tenendo in considerazione il fatto che le altre due parrocchie presenti nel vicino abitato di Casanova, vantavano origini molto più antiche, come nel caso “documentato” della chiesa di Santa Croce, sorta nel periodo Longobardo (anno 969) come semplice cappella rurale. In origine, la chiesa della Vittoria, come affermava il sacerdote don Francesco Fiano, “apparteneva per eredità al Signor Cavaliere don Gennaro Paternò di Napoli”, ma “per cura, studio, spese” del citato don Fiano, la detta chiesa venne donata “con donazione irrevocabile tra vivi ai Parroci pro tempore di Coccagna dal lodato Cavaliere”. Tale donazione al devoto popolo di Coccagna, venne attuata attraverso l’atto notarile del 23 agosto 1854, rogato dal notaio Gaetano Santoro, “residente in Caserta”. L’atto pubblico venne quindi “approvato, e sottoscritto” dall’allora arcivescovo metropolita di Capua cardinale Giuseppe Cosenza, il quale, con un suo decreto dell’11 settembre 1857 “elevò la Chiesa di Coccagna all’onore di Parrocchia, concedendole tutti gli onori, diritti e privilegi delle Chiese Parrocchiali”.
II. La descrizione della chiesa e l’andamento della vita parrocchiale
Don Francesco Fiano “di Casanova”, affermava di essere in quel periodo, sacerdote “da anni trenta, e parroco da anni 21” e ad assegnargli il beneficio parrocchiale, fu l’arcivescovo di Capua cardinale Giuseppe Cosenza. La parrocchia di Coccagna era intitolata alla Madonna della Vittoria, anche se, a dire del parroco Fiano, il protettore era San Michele Arcangelo, “di cui si celebra(va) la festa nel giorno 29 settembre ora con rito doppio di prima classe con ottava”, mentre negli “esercizi ordinari, e solenni”, era usanza intonare il “canto gregoriano semplice”. Non si sapeva con precisione, quando venne fondata la chiesa di Coccagna, tanto da risultare non ufficialmente consacrata e priva di indulgenze. La struttura architettonica “di forma rettangolare” era munita di una copertura “a volta”. La chiesa era “lunga di palmi sessantadue, e larga palmi ventinove, escluse le mura”, in più non risentiva di “servitù da inquilini contigui, né sopra la chiesa vi è(ra) abitazione alcuna”. Nella totalità quindi, la chiesa appariva in buono stato conservativo, tanto da far affermare al parroco Fiano che “non occorrevano riparazioni”. All’interno del sacro edificio vi erano quattro altari: quello maggiore, “ossia del SS. Sacaramento”, del Sacro Cuore di Gesù, di Sant’Antimo prete e martire e delle Anime Sante del Purgatorio. Nessuno di questi quattro altari laterali avevano il cosiddetto “jus patronato” e tutti e quattro avevano “la sola pietra sacra”. Sempre per i quattro altari, poi, “non vi è(ra) alcun peso di messe”. Due erano i cibori “di legno permanenti” presenti in chiesa, “ma soprattutto nell’Altare del SS. Sacramento”. L’organo si trovava “in buono stato”, così come il pulpito, “nel quale è(ra) solito predicarsi non solo nelle feste solenni”, ma anche quando doveva “recitarsi qualche Panegerico in onore di qualche Santo, ma ancora dal Predicatore quaresimale”, il quale veniva nominato dal Municipio di Casanova e riceveva dal medesimo “Lire centosettanta”, coll’obbligo “di predicare tre volte alla settimana nella Parrocchia di Casanova, e nelle ore pomeridiane dei giorni festivi nella Parrocchia di Coccagna”. Del tutto curioso era che, in occasione di feste solenni, i Panegeristi erano “invitati dai Mastri di festa”, i quali nel pagarli, variavano “secondo le circostanze, tempi, e persone”. Al di sotto della chiesa non vi erano “sepolture né comuni, né gentilizie, né sotto gli altari, né vi è(ra) alcun cimitero”. Accanto alla facciata della chiesa parrocchiale vi era il campanile “con due campane”, le quali “si ignora(vano) in qual tempo, e da chi benedette”. Il campanile risultava “alto quanto è(ra) alta la chiesa, è(ra) coperto, ha(veva) comoda la scala, vi è(ra) la porta” che si teneva chiusa “nei tempi opportuni”. Per l’amministrazione del Sacramento della Riconciliazione, vi erano due confessionali “situati in mezzo alla chiesa, avendo le lamine minutamente perforate, e sulle dette dalla parte esterna vi è(ra) affissa l’immagine del Crocifisso”. La sacrestia della chiesa “è(ra) fornita di tutto”, era “contigua alla chiesa” ed “è(ra) fornita degli armadi necessari, ed il suo pavimento è(ra) lastricato”. La sacrestia non aveva alcuna rendita, dato che “nei suoi bisogni vi provvede(va) il Parroco”. La chiesa non possedeva “Reliquie di Santi”. Punto assai importante, trattato dal sacerdote Francesco Fiano, risultava essere quello legato all’economia parrocchiale, la cui rendita “consiste(va) in due pensioni”, di cui la prima era “di annui ducati centoventi” ed era pagata dall’Abate Curato di Macerata (parroco della chiesa parrocchiale di San Martino di Tours in Macerata Campania), la seconda, invece, “di annui ducati cento” era dovuta dal parroco di Santa Maria la Fossa. La rendita era ovviamente amministrata dal rispettivo Parroco, e da essa “si spende(va) parte pel culto Divino, e parte pel proprio vitto”. E’ del tutto particolare sapere che alla chiesa era stato concesso un lascito testamentario. La signora Andreana Pisante, infatti, “con pubblico istrumento” del 9 luglio 1851, rogato presso il Notaio Regio Arcangelo Centore fu Stefano, “residente nel Comune di Casanova”, disponeva di legare “a pro della Parrocchiale Chiesa di Coccagna, Comune riunito a Casanova, la somma di ducati cento, ipotecati sui beni del detto mio marito Francesco Antonio Lombardo”, volendo che il Parroco “pro tempore”, “dai frutti annuali, provenienti dalla legata somma”, avesse celebrato, o fatto celebrare “in perpetuo”, ed annualmente, in suffragio della anima della signora Pisante, “quindici Messe piane coll’elemosina di grana venti ognuna, come peso annesso a detto legato”. In più, la testatrice chiedeva che “di detti annui frutti”, se vi fossero avanzati, questi sarebbero dovuti andare “a beneficio dello stesso Parroco pro tempore di detta Chiesa Parrocchiale”, il quale però doveva rendere conto “di dette Messe nelle Sante Visite” e per questo infatti, la testatrice chiedeva che il “transunto di questo articolo”, fosse stato scritto “in una tabella” e che fosse stato affisso nella sacrestia. Francesco Antonio Lombardo, marito di Andreana Pisante, aveva infatti pagato puntualmente “ducati cinque (come annuali interessi)” ed il parroco celebrava ogni anno “quindici Messe piane secondo l’intenzione della Pisante”, come appunto risultava “dalle fedi rilasciate nel libro di messe, celebrate per obbligo dal Parroco di Coccagna”. Nella chiesa non apparivano “Monti, cappelle amministrate, o simili istituti di qualunque nome”. Questa apriva le sue porte ai fedeli “la mattina dopo l’alba, e si chiude(va) la sera verso le ore ventiquattro” e in più, cosa assai positiva era che nei pressi della chiesa non c’erano “limitrofi luoghi di spettacoli”. I doveri del parroco don Francesco Fiano apparivano scritti in sacrestia su di una “tabella affissa”, sulla quale appunto erano “descritte le messe”, che per obbligo il parroco doveva celebrare e in più si conservava ancora “il libro, in cui ne sta(va) notata la soddisfazione”. Per quanto riguardava invece le cosiddette “messe avventizie” , bisognava considerare che siccome queste erano “scarsissime” e siccome “gli oblatori” non avevano l’abitudine “di portarle in Chiesa”, ma, a caso le davano a quel sacerdote “che loro piace(va), senza farlo conoscere al Parroco, così di esse non si conosceva nella Parrocchia alcun libro di soddisfazione”. L’adorazione eucaristica si teneva ogni sera, con l’esposizione del SS. Sacramento “con sei lumi a cera, innanzi al quale è(ra) sempre accesa la lampada”. Particolari poi erano i novenari che si recitavano in occasione di feste importanti: del Santo Natale, del Sacro Cuore di Gesù, dello Spirito Santo, delle sette feste principali della SS. Vergine Maria, di Sant’Antimo prete e martire e l’Ottavario dei defunti. Ogni anno poi, “a spese del Parroco”, si svolgeva la processione del Corpus Domini, alla quale intervenivano i confratelli della Confraternita di Coccagna “sotto il titolo della SS. Concezione Immacolata”, i sacerdoti “dell’ottina”, e questa “passa(va) per tutte le strade di Coccagna”. Stranamente, invece, passava in secondo luogo la festa in onore della titolare della parrocchia: La SS. Vergine della Vittoria che, “quasi annualmente” si celebrava nella domenica che seguiva “il giorno sette di ottobre” e che veniva curata “dai mastri di festa a spese del pubblico con licenza della Curia di Capua, e col permesso del Governo”.
Anticamente, come scriveva testualmente don Francesco Fiano, “Casanova e Coccagna formavano una sola Parrocchia” (quella di San Michele Arcangelo per la parte ecclesiastica capuana), ma nel 1819, l’Arcivescovado di Capua “col permesso del Governo”, da un anno ritornato definitivamente in mano alla dinastia Borbonica, a seguito del Congresso di Vienna, decise di distaccare da Casanova, il villaggio di Coccagna, la cui chiesa quantunque fosse una “Parrocchia figliana”, la chiesa matrice, cioè quella di San Michele Arcangelo, “non vi rappresenta(va) alcun diritto”. Il territorio, e quindi la spirituale giurisdizione della parrocchia di Coccagna “principia(va) dal ponte di Casanova, e si distende(va) verso Settentrione, Oriente, ed Occidente, fin dove arriva(va)no i territori appartenenti alla giurisdizione di Casanova e Coccagna”, in più, risultava che quei confini erano “controvertiti dai Parroci limitrofi”. L’economia parrocchiale si reggeva grazie soprattutto alle “offerte” concesse in occasione dell’amministrazione dei Sacramenti. Per quanto riguardava i funerali ad esempio, e più precisamente la celebrazione delle “esequie dei ragazzi”(fanciulli), si esigevano “dieci soldi dal Parroco”, invece, per i funerali dei giovani, non si esigevano soltanto “ventuno soldi”, ma ancora “soldi ventisei” per accompagnare il cadavere “sino al Campo Santo di Montecupo”. E’ ovvio che il parroco chiedeva la citata somma di “ventuno soldi”, soltanto “come diritto di stola nera”. Per riceve “qualche attestato”, o “fede parrocchiale”, si esigeva “mezza lira”, mentre, se le fedi richieste erano molte, in tal caso si cercava “di far economizzare” (scontare). Come già detto, l’economia della Parrocchia “poggia(va) sopra due pensioni”: la prima “si paga(va)” dall’Abate Curato di Macerata e doveva “ascendere all’annua somma di ducati cento venti, libera ed immune da qualunque peso, come sta(va) consacrato nella Bolla Pontificia del 5 febbraio 1868”, La seconda pensione invece, “è(ra) di annui ducati cento, liberi e netti, come è(ra) chiaro dalla Bolla di possesso, spedita dalla Curia di Capua, nel dì 13 dicembre 1845”, ed era pagato dal sacerdote don Agostino Alicandro. Tuttavia però, dei problemi intercorsero tra i due sacerdoti, perché a dire di don Francesco Fiano, il nominato parroco Alicandro “non solamente indebitamente” si tratteneva “il quinto nel pagare detta pensione”, ma anche perché “è(ra) molto restio in soddisfarla”, cosicché fin dal giorno 1 agosto 1871, non aveva voluto più pagare. Pertanto, il parroco di Coccagna, aveva fatto molte volte presente “tal caparbietà” all’arcivescovo di Capua. Restando sempre in tema economico, risultava che lo “stato attivo” della parrocchia di Coccagna doveva essere (ma in realtà non lo era) “di annui ducati duecento venti”, mentre, lo “stato passivo” era caratterizzato da “annui ducati 17” per le messe “pro populo Coccagna”, “annui ducati 12” per l’olio che ardeva nella lampada del SS. Sacramento, “annui ducati 18” per la cera delle messe quotidiane, per la visita del SS. Sacramento e per il Viatico, “annui ducati 10” per la celebrazione della festa del Corpo di Cristo, “annui ducati 6” per la spesa “pel Santo Sepolcro”, “annui ducati 10” per il sacrestano, “annui ducati 12” per il pigione della casa parrocchiale, “annui ducati 8” per le spese legate al bucato dei camici, tovaglie, manutenzione di sacri arredi, funi delle campane, accomodi agli scanni, infine, c’era una “tassa di mano morta” pari ad “annui ducati 9” che equivalevano a Lire 38, 25. Davvero strano era, invece, il fatto che, sempre nell’economia della parrocchia non fossero presenti “fondi addetti né al soccorso dei poveri, né all’obbligo di maritaggi”. A Coccagna, in quell’epoca, diceva don Francesco Fiano, “non esiste(va) Casa Parrocchiale” e il parroco teneva in fitto “una casa per proprio uso, e sua dimora”. Il ministero sacerdotale di don Francesco si svolgeva essenzialmente come di consueto, amministrando “la cura delle anime per se stesso”, spiegando alla mattina nei giorni festivi “i riti della Santa Messa”, come pure nelle feste, nelle vigilie, “dippiù la Divina parola secondo l’Evangelo corrente”, alla quale “accorre(va) molto popolo”. Durante le ore pomeridiane dei giorni festivi, il parroco “insegna(va) il catechismo, e la dottrina cristiana”, alla quale, a quest’ultima interveniva in realtà il sostituto don Pasquale Fiano e prendevano parte “molti figliuoli” che però stavano “separati dalle figliuole”, cercando in questo modo, “di approfittare secondo la propria capacità”. Il parroco, non soltanto nelle domeniche, “ma ancora nei giorni di antico, ed attuale precetto”, celebrava “il Sacrificio della messa pro populo”, come risultava registrato “nel libro a tale oggetto compilato”. La parrocchia di Coccagna, aveva un solo “Economo”, paragonabile all’attuale presidente del Consiglio Pastorale Parrocchiale, il quale era stato ordinato in Capua, e il cui nome era Pasquale Fiano “di Casanova di anni 49”. L’incarico era stato infatti approvato dall’arcivescovo di Capua e, il suo stipendio veniva erogato dal Municipio di Casanova per “annue Lire 76, 50”. Il Sacramento del Battesimo, si amministrava nella parrocchia “giusta le prescrizioni del Rituale Romano” e “fuori necessità” nessun bambino era stato battezzato in casa, ne tanto meno in occasione del Sabato Santo e in quello che precedeva la Pentecoste, perché diceva il parroco Fiano, “finora non si è(ra) presentata alcuna occasione”. Nell’amministrazione del Battesimo “si esige(va) solamente la consueta candela” e in più si istruivano i Padrini “circa i loro doveri verso gli infanti” e in più le Ostetrici erano approvate, “ed esperte della forma del Battesimo”. Il Sacramento dell’ Unzione, si amministrava tramite “il Viatico agli infermi”, accompagnato con quattro lumi “secondo la consuetudine del Villaggio” e portando pure il baldacchino , “accompagnato da un ragazzo (in mancanza del Chierico)”, che appunto portava il Rituale (il libro delle preghiere) ed il vaso contenente l’acqua santa, il tutto però “somministrandosi dal Parroco l’analoga spesa”. Nella parrocchia si teneva il catechismo per “i figliuoli per la Santa Comunione”, la quale veniva concessa per la prima volta “ai ragazzi di anni dodici”. Per quanto riguardava i Matrimoni, questi si celebravano sempre nella chiesa parrocchiale, “esplorandosi prima separatamente la volontà di ambedue gli Sposi”: si premettevano a questo proposito le “debite pubblicazioni” e si procedeva poi ad esaminare i nubendi prima delle nozze “circa gli obblighi del proprio stato” e per conoscere se effettivamente risultavano istruiti “circa i rudimenti di nostra Santa Religione” e poi non doveva esserci “alcun disordine” nella coabitazione degli sposi prima si contrarre il matrimonio. Del tutto commovente erano le visite fatte agli ammalati, visite che vedevano il sacerdote accompagnato dal sacrestano (in mancanza del chierico) il quale portava la croce, l’acqua benedetta, ed il rituale (libro di preghiere), mentre il sacerdote portava con se “il vaso dell’estrema Unzione” (l’olio santo). Una volta giunto nella casa dell’infermo, il parroco “vestito della cotta e della stola violacea”, porgeva il Crocifisso per farlo baciare all’infermo, e dopo aver “aspersa la stanza coll’acqua benedetta”, incominciava ad amministrare il Sacramento della Estrema Unzione “giusta il Rituale Romano”. Nel corso delle esequie, i sacerdoti locali erano destinati ad accompagnare la salma dell’estinto “sino al Campo Santo”, e per questo ricevevano “per emulamento Carlini tre”, mentre, i funerali dei morti poveri si svolgevano in maniera del tutto gratuita. Anche al momento del trapasso, venivano fatte delle distinzioni, in quanto i fanciulli che morivano senza aver ricevuto il battesimo, venivano seppelliti “vicino al Campo Santo in un luogo a ciò destinato”. In genere, i cadaveri, quasi sempre venivano trasportati “dalla propria abitazione direttamente al Campo Santo ove esiste una Cappella Pubblica” (Santa Maria Lauretana di Montecupo) e dove appunto, potevano svolgersi “le Sacre funzioni”. Nei giorni stabiliti dal calendario liturgico si benedicevano e si distribuivano “le Ceneri, e le Palme” e, la notte del Sabato Santo si benediceva il fonte battesimale, con la cui acqua santa si benedicevano “tutte le case della Parrocchia”. Tra il clero del villaggio di Coccagna, oltre al parroco don Francesco Fiano, si annoveravano in quel periodo altri due presbiteri “diocesani”: don Pasquale Fiano “sacerdote, ed economo, confessore” e don Giuseppe Perrotta “sacerdote, e confessore”. Nel tenimento di Coccagna, esisteva ed operava una sola Confraternita laicale, quella “dei fratelli sotto il titolo della SS. Immacolata Concezione”, i quali, ogni domenica “al giorno nel proprio Oratorio pubblico”, si radunavano “per attendere alle opere di pietà”. Nella giurisdizione della parrocchia di Coccagna non vi erano “eremiti” né esistevano “oratori rurali” come pure “oratori privati”.
III. Le statue oggetto di culto nella chiesa
Il corredo artistico appartenente alla chiesa parrocchiale di Coccagna era, per la maggior parte, composto da statuaria sacra. Nella chiesa infatti era all’epoca oggetto di venerazione una statua raffigurante la Madonna del Rosario del tipo a manichino “con 3 abiti, cioè uno giornaliero, il secondo di seta rossa, ed il terzo di seta lattina ricamato in oro”. Vi era poi la statua raffigurante sant’Antimo prete e martire e quella raffigurante la SS. Vergine della Vittoria che dal documento figurava erroneamente come “di legno”, ma in realtà, come è noto, plasmata in cartapesta.
Fonti
- Archivio storico arcivescovile di Capua, Questionario per la Visita Pastorale anni 1873 – 1875, Parrocchia Santa Maria della Vittoria in Coccagna.
- Antonio Ianniello, Religione e Politica nell’episcopato del cardinale Apuzzo, Edizioni Scientifiche Italiane 1999.