Una parrocchia di “confine”: la vita della chiesa di Santa Croce in Casagiove descritta dal parroco don Tommaso Riccio nella prima metà del Settecento (seconda parte)
“Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la Parola di Dio: considerando attentamente il loro tenore di vita, imitatene la fede”.
(Ebrei 13, 7)
A don Lorenzo Maggetto che, come il suo predecessore don Tommaso Riccio, incarna il valore dell’Amore verso l’Altissimo e verso la Chiesa, “Madre e Maestra”.
Introduzione
Così abbiamo conosciuto don Tommaso Riccio, un parroco zelante! Si conclude, con questa seconda parte (per la prima parte si rimanda a Una parrocchia di “confine” (prima parte), la descrizione riguardante la vita comunitaria della chiesa parrocchiale di Santa Croce in Casagiove (già Casanova), descritta in maniera puntigliosa dall’allora parroco don Tommaso Riccio. In questo modo, non solo abbiamo rimesso al proprio posto un tassello di storia vissuta, testimoniata attraverso fonti archivistiche inedite, ma, allo stesso tempo, abbiamo pure conosciuto l’operato dell’allora parroco, il cui ministero sacerdotale, almeno da quello che trapela dalla documentazione analizzata, risulta essere davvero zelante e speso per il solo amore verso L’Onnipotente e la Chiesa. Certamente, se oggi don Tommaso Riccio fosse in mezzo a noi, ci ringrazierebbe per averlo ricordato alle genti di Casagiove, ma ci raccomanderebbe anche e soprattutto di ricordarlo nelle preghiere. Don Tommaso, ci ha fatto capire, attraverso la sua scrittura, che nessun “confine” deve esserci tra le nostre comunità parrocchiali, perché tutti dobbiamo protendere verso la stessa destinazione: l’Amore per Dio e per La Chiesa “Mater et Magistra”.
Il questionario per la Visita Pastorale (anno 1722)
Don Tommaso Riccio, scriveva che “Nella sua Parrocchia è(ra) solito farsi ogn’anno la processione del SS. Rosario con la confraternita della suddetta Cappella”, processione a cui però, prendeva parte anche il “Clero del Casale di Casanova coll’ intervento di tutto il Popolo”, anche perché “non v’è(ra) altra processione”. Per coloro che dovevano ricevere il sacramento del battesimo, era prevista l’elargizione di “emulamenti”, attraverso “una gallina, o una candela”. Invece, per quanto riguardava i matrimoni, “rare volte essendo la maggior parte poveri”, bastava donare semplicemente un fazzoletto. Per quanto riguardava “li mortuori”, cioè i funerali, il parroco era solito “esigere carlini sette per l’associatura, grana 15 per ciaschedun sacerdote, e carlini cinquine tre”. Poi, “l’Officio dei Morti” era valutato a “carlini due o tre, secondo la possibilità di chi lo fa(ceva) dire”. Per la pubblicazione degli atti di Ordinazione sacerdotale, o Matrimoniali, “non s’esigge(va) diritto alcuno; ma solo dalla fede delle dette pubblicazioni, come di altre fedi cavate dal libro de Parochi, è(ra) solito esigerne il Parroco carlini due”. Riguardo al sacramento del Battesimo, il parroco non aveva “mai dilungata l’amministrazione del Sacramento […] sino a tre giorni”, ma aveva “differito l’amministrazione di esso al giorno seguente”. Nella giurisdizione della parrocchia di Santa Croce non risultava la presenza di “banbane”, cioè levatrici, bensì ve ne erano “due nell’istesso Casale”, le quali abitavano “nel ristretto della Parrocchia di S. Michele diocesi di Capua”, ed entrambe erano “approvate per amministrare il suddetto sacramento del battesimo in necessità”. Da don Tommaso Riccio, mai, erano “stati ammessi nel suddetto battesimo Patrini, o Matrine seu Conmare, meno d’anni 12 alle femine, e meno d’anni 14 agli huomini”; ne aveva “ammessi per Conpadri clerici o Regulari senza licenza de superiori”. Coloro che venivano ammessi “a questo officio”, prima di battezzare, avevano ricevuto dal parroco l’obbligo “che in difetto del Padre o della Madre”, avessero loro, i Padrini e le Madrine, insegnato “a quelli fanciulli li rudimenti della Santa Fede”. Don Tommaso ricordava che per due volte aveva “imposto nome di Infedeli nel battesimo, havendo così voluto gli Parenti per rinnovare gli antecessori suoi”, altre volte, invece, aveva “sempre imposto nomi de Santi”. Tutti i figliuoli e le figliuole di 7 anni, erano stati, dallo stesso parroco, esamini e istruiti “a prendere il Sacramento della Cresima”, predicando dall’ altare “circa le virtù ed efficacia del suddetto Sacramento”, disponendo poi per i figliuoli che erano capaci, la “Sacramentale Confessione”. In tutti i giorni festivi, don Tommaso, sedeva nel Confessionario, anche se non era chiamato “per amministrare il Sacramento della penitenza”. Molte volte, nella sua parrocchia, il sacerdote teneva “il ragionamento al Popolo, del dolore necessario al Sacramento della Penitenza, senza del quale il Sacramento è(ra) invalido distinguendo più sorti di dolori”. Quando veniva portato il Viatico agli infermi, intervenivano “molti con dieci torce accese, secondo la necessità, e la spesa delle cere”, spesa che andava in base al “costo della Cappella del SS. mo Rosario”. Le particole che si conservavano nel tabernacolo, si cambiavano “ogni otto giorni”, ed “in tempo poi di festa”, si cambiavano “più spesso”. In occasione del “precetto Pascale”, tutti i fedeli avevano sempre adempiuto, e non era stato perciò necessario darne nota “alla Corte Vescovile”. Nella chiesa di Santa Croce “non è(ra) solito farsi esposizione, ne farsi processione pubblica col Venerabile”. Ma, a dire del parroco, “è(ra) solita eseguirla detta processione dalla Chiesa di S. Michele diocesi di Capua, a circuire col Venerabile presso il Casale di Casanova anche per la diocesi di Caserta, col patto, e consuetudine fatta, che il Parroco di S. Croce habbia da portare il Venerabile, e circuirne per tutto il suo Casale; ed un altro anno portarlo il Parroco di S. Michele, e circuire per tutto (il Casale)”. Quando si portava l’olio santo agli infermi, andava “avanti un figliuolo con la Croce, ed il Parroco con cotta e stola”, e questo accadeva “per mancanza di Clerici”. Infatti, don Tommaso, non aveva “fatto fede alcuna a Clerici de vita e di morte, perché gli suddetti Clerici”, della sua chiesa, erano “stati sempre permanenti in Napoli”. Era solito allo sposo “doppo la seconda pubblicazione entrare con gli parenti nella Casa della sposa”, ma se lo sposo, si fosse accostato “temerariamente” alla casa della sposa, la pena sarebbe stata il pagamento in “tre libbre di cera”. Il parroco era solito, “dopo aver contratto il Matrimonio esagerare agli sposi la solenne benedizione”. Nelle “denunce” che dovevano effettuarsi prima del matrimonio, “dopo haver pigliato il consenso dello sposo”, se ne andavo “in Casa della sposa, e chiamata da parte”, questa veniva interrogata affinché si fossero fatte le “debite denunce e questo si fa(ceva) a sine di averne il libero consenso”. Allo stesso modo, il parroco, “nelle denunce da farsi”, interrogava “circa li rudimenti della S. Fede” e questo, sempre a dire del parroco, si faceva nel momento in cui si “dubita(va) dell’ignoranza de Catechisti”. Prima di “contrarre il suddetto matrimonio”, il parroco aveva sempre disposto “un giorno prima li suddetti contraenti alla Sacramentale confessione”. Nella Chiesa parrocchiale “è(ra) solito nel giorno della Purificazione (Candelora), farsi la benedizione delle candele, ma bensì si fa(ceva) la benedizione delle palme a spese del Parroco”. Solamente “nel Sabbato di Pasca di Resurrezione, è(ra) solito benedirsi il fonte (battesimale)”. Don Tommaso scriveva poi, che nella sua Chiesa non vi erano “altre indulgenze, se non questa concessami per anni 7 dal Papa Clemente XI nella festa dell’Invenzione della S. Croce”. Allo stesso modo, risultava che nella suddetta Chiesa non vi fossero “reliquie de Santi”. Per il parroco, “si assiste(va) agli moribondi e senza aggiunta di persona alcuna” e “per suggerire al ben morire gli suddetti (moribondi)”, don Tommaso si serviva di un tal don Giuseppe Marcellini “che fa(ceva) la pratica de moribondi”. Dal Parroco era stato redatto “l’ inventario […] ma non ligalizzato, per havere questa notizia” da dove, effettivamente provenissero “li suddetti beni stabili, e annue, entrate della suddetta Chiesa” e, per questo motivo, il parroco non ne aveva notizia alcuna, dato che non gli “fu consegnato Inventario” redatto dal suo “Antecessore” dal quale avrebbe “potuto regulare”. La suddetta Chiesa “frutta(va) ducati 80” e l’ “affitto de servitori annui ducati 59, d’annue entrate ducati 20 e di decime ducati 10”. Nessun dubbio sul fatto che, la chiesa fosse stata, nel tempo, “usurpata nelli di suoi beni, alienati, o occupati”. Era stato solito “esigere ogni anno le decime, seu primizie delli Parrocchiani, cioè carlini cinque per ciaschedun bracciale e un roto di grano per ciaschedun massaro”. Il parroco, conservava la cosiddetta “tabella del peso delle messe”, la quale, era “esposta in Sacristia, e sottoscritta, e riconosciuta dall’Illustrissimo monsignor vescovo di Caserta d. Giuseppe Schinosi”. Al di fuori “del peso delle messe” che stavano scritte “alla suddetta tabella”, non vi era “altro peso, o legato da scriversi”. Il libro mastro, sul quale “alla giornata” si annotavano le messe, era conservato “nella Casa vicino alla suddetta Chiesa”. Diceva il parroco, di non avere un “archivio per conservare li libri della suddetta Chiesa” e si serviva, a tale scopo, “della suddetta Casa per conservarli”. Purtroppo, nella parrocchia, non si riuscivano a soddisfare le esigenze dei fedeli in tutto e per tutto, in quanto risultava l’assenza di un “Predicatore in tempo dell’Avvento, e quadragesima (Quaresima)”, ma, a tal proposito, risultava che tutti i “figliani” di don Tommaso Riccio, intervenivano “alla Parrocchia di S. Michele Arcangelo in tempo di quaresima; e il suddetto Predicatore, è(ra) pagato dall’Università di Casanova (Amministrazione Comunale)”. Infatti, don Tommaso ricordava che per “due volte havea fatti l’esercizi spirituali secondo la lettera della Sacra Congregazione de mandato SS.mi una volta nel Casale di S. Prisco in tempo della Santa Missione e un’altra volta, nel Casale di Casapulla in tempo della Santa Missione”. La Congregazione dei casi, invece, “si è(ra) fatta nella Parrocchia di San Michele coll’intervento del Clero del Casale di Ercole, e Casapulla”. Nel momento in cui don Tommaso redigeva il presente questionario, invece, la stessa pratica religiosa, “si fa(ceva) nel Casale di Casapulla con l’intervento del Clero di Casanova, e Ercole”. Alla fine della redazione del documento, il parroco, trattava dei problemi spirituali che riguardavano la giurisdizione della sua parrocchia, rivolgendosi “alli pubblici usurai, bestemmiatori, concubinati, o sospetti di concubinato, o di moglie, e marito separati, o di inimicizie a lungo tempo indurate, e delli continui trasgressori delle feste […], come anche de malefici e sortilegi o sospetti di fede”. Per fortuna però, di questi problemi, nella sua parrocchia, pare non ve ne fossero, ma se per caso, qualcuno, fosse venuto a conoscenza di un caso del genere, bisognava darne “nota secretamente”.
Fonti
- Archivio storico diocesano di Caserta, S. Croce (Casagiove) I.07.02.12 – Fascicolo 125