44 anni fa veniva ucciso a Roma lo studente greco Mikis Mantakas, uno degli esempi di una passione politica d’altri tempi
Molto spesso in tv, o meglio in quella parte del palinsesto dedicato a programmi più impegnativi ed interessanti, si ripetono le immagini di un periodo della nostra storia repubblicana che era animato e scosso da contrasti, verbali e fisici, tra differenti parti politiche. Immagini che sembrano lontane dalla politica attuale che antepone, molto spesso, gli interessi, gli obiettivi immediati, la versatilità di una compagine partitica, rispetto ad un complesso e specifico castello di idee, valide per il presente e per il futuro, e che vanno sempre difese.
Uno degli esempi più alti di questo sacrificio in nome di un ideale, è senza dubbio quello dello studente greco Mikis, Miki per gli amici, Mantakas. Mikis è uno studente greco di 23 anni che aveva lasciato il suo paese natale, per venire in Italia dove si iscrisse al FUAN (Fronte Universitario d’Azione Universitaria) divenendo parte attiva della gioventù missina.
I fatti che portarono all’uccisione di Miki sono strettamente collegati alla vicenda processuale scaturita dal famoso “Rogo di Primavalle” dove trovarono la morte per mano dei componenti di “Potere Operaio” i fratelli Virgilio (22 anni) e Stefano (8 anni) Mattei, colpevoli di essere figli di un segretario missino. Il settimo giorno del processo, fuori il tribunale, a piazzale Clodio, ci sono scontri tra i militanti missini, venuti per assistere alla condanna del responsabile del rogo, Achille Lollo, e un corteo antifascista non autorizzato. Lo scontro verrà poi sedato dalle forze dell’ordine, che però non arresta la voglia di sangue dei manifestanti. Non a caso, a seduta processuale conclusa, alcuni militanti, guidati da Alvaro Lojacono, figlio di un noto economista, e Fabrizio Panziero, decidono di assaltare la sezione missina di via Ottaviano. I due capi si appostano ai due lati del portone ed iniziano a sparare verso l’ingresso del palazzo dove c’è la sezione. In quel momento nei locali c’è anche Miki Mantakas. Lo studente greco, fatto uscire dalla portinaia attraverso un ingresso secondario in piazza Risorgimento, in compagnia di un camerata si lancia verso i due militanti antifascisti con una cintura in pugno nell’intento di riprendere il controllo del portone. Visto dai “rossi”, Miki Mantakas viene colpito in piena fronte da un proiettile calibro 38 esploso da Alvaro Lojacono.
Miki morirà dopo due ore di agonia, alle 18:45. Era il 28 febbraio 1975. Dopo 44 anni, dopo tre gradi di giudizio, Alvaro Lojacono, nonostante sia stato condannato a 17 anni di carcere dalla giustizia svizzera per l’omicidio del giudice Girolamo Tartaglione, di cui 9 scontati e 2 di semilibertà, non ha ad oggi trascorso un solo anno di carcere per l’omicidio di Mantakas. Un’onta pesante per la magistratura italiana.
Il tempo che visse Miki è ormai lontano. Da un lato è un bene perchè naturalmente non si può morire o uccidere per un’idea politica. D’altro canto non possiamo confinare quel periodo unicamente alla sfera della violenza; fu un periodo di passione, di fede ideale e politica, di coscienza, da una parte e dall’altra, che sicuramente diede nuova e pura energia al dibattito politico, molto rammollito dalla politica comoda democristiana. Questo è il motivo per cui oggi, a 44 anni di distanza, ricordiamo la limpida figura di Miki Mantakas.