Aggressioni contro i sanitari, il presidente Manzi scrive all’Asl di Caserta e all’Azienda ospedaliera

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«Alla luce degli incresciosi e sempre più frequenti episodi di aggressione ai sanitari, sono emerse alcune criticità per le quali quest’Ordine professionale vuole dare il proprio contributo all’Azienda Sanitaria Locale e all’Azienda Ospedaliera di Caserta». Inizia così la lettera del presidente dell’Ordine provinciale dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri di Caserta Carlo Manzi
alle Direzioni strategiche dell’Azienda sanitaria locale e dell’Azienda ospedaliera “Sant’Anna e San Sebastiano”.

Il presidente Manzi scrive: «La sicurezza sul lavoro è un diritto di tutti i lavoratori, in particolare degli operatori sanitari che, nell’esercizio delle proprie funzioni, rivestono il ruolo di pubblici ufficiali e sono tenuti, ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione, a prestare le cure mediche tutelando la vita delle persone. Analizzando il fenomeno delle aggressioni capiamo due cose: il problema è endemico sul territorio nazionale; le cause sono di natura multifattoriale, ovvero legislativo/istituzionale, gestionale/organizzativo e culturale (verso cittadini e professionisti). Dal punto di vista normativo, il decreto-legge 1° ottobre 2024, n. 137, ha introdotto al comma 1 il reato di danneggiamento commesso all’interno o nelle pertinenze delle strutture sanitarie, con violenza alla persona, ovvero nell’atto del compimento del reato di lesioni personali a personale esercente la professione sanitaria, prevedendo la reclusione da uno a cinque anni e la multa fino a 10.000,00.

L’art. 2 del medesimo decreto prevede, inoltre, l’arresto obbligatorio in flagranza e, a determinate condizioni, l’arresto in flagranza differita, fino a 48 ore dopo, per delitti di lesioni personali commessi verso i professionisti sanitari, nonché per il reato di danneggiamento dei beni destinati all’assistenza sanitaria.

Nell’immediato, per consentire la corretta applicazione del decreto-legge n. 137, in particolare per consentire l’arresto in flagranza differita, appare urgente ed improcrastinabile l’attivazione di sistemi di videosorveglianza e registrazione nei luoghi di accesso alle strutture sanitarie, quindi non solo nei Pronto Soccorso, ma in tutti i Servizi che erogano prestazioni sanitarie all’utenza, incluse le Case di Comunità di prossima apertura. Si ritiene, altresì, necessario valutare la necessità di installare, e mantenere regolarmente in funzione, impianti di allarme o altri dispositivi di sicurezza (pulsanti antipanico, allarmi portatili, telefoni cellulari, pontiradio) nei luoghi dove il rischio è elevato, ed assicurare la disponibilità di un sistema di pronto intervento nel caso in cui l’allarme venga innescato. Quest’ultimo aspetto va posto all’attenzione del Prefetto; per questo motivo chiederemo un incontro a breve. La guardia armata può essere un ulteriore deterrente ma spesso nella pratica si rileva poco utile, soprattutto in un contesto, come quello del pronto soccorso, in cui non sempre è possibile intervenire contestualmente all’aggressione». E poi continua: «In riferimento all’ambito organizzativo/gestionale, i principali fattori determinanti sono correlati agli eccessivi tempi di attesa nell’erogazione delle prestazioni e alla scarsa comunicazione. I lunghi tempi di attesa rappresentano una delle principali cause dei possibili episodi di aggressione ascrivibili a: inappropriatezza degli accessi in PS, carenza di personale sanitario, condizioni disumane di attesa del paziente e dei suoi familiari. Occorre intervenire, pertanto, sul benessere organizzativo, migliorare l’ambiente di lavoro, a partire dal rispetto della privacy del paziente, ed investire sull’umanizzazione delle cure, per i pazienti e per i propri congiunti. L’aspetto della comunicazione riveste grande importanza. Spesso nei P.S. assistiamo a situazioni nelle quali mentre gli operatori sanitari hanno preso in carico il paziente, nei modi e tempi previsti dai protocolli, fuori i familiari si lamentano, convinti del contrario. Nei P.S. andrebbero istallati e messi in funzione monitor che descrivano i percorsi dei malati e che stimino i tempi di attesa. Inoltre, va prevista una figura professionale specializzata per l’attivazione di un help desk, che raccolga i bisogni e le paure dei familiari in sala di attesa. Andrebbe realizzata, soprattutto, una vera e propria rivoluzione culturale, per cui il medico torni ad essere visto come attore della relazione di cura, e non come bersaglio da colpire». E conclude: «Occorrono politiche di risk management, di formazione degli operatori, di comunicazione verso i pazienti e di addestramento per i loro familiari. È importante che il personale sanitario acquisisca competenze per gestire soggetti aggressivi, per rispondere ai conflitti e disinnescare l’escalation dell’aggressione, anche attraverso strategie di tipo comunicativo. Serve, in ultima analisi, sicuramente la figura di un mediatore culturale per umanizzare gli accessi dei tanti stranieri in pronto soccorso e negli ambulatori territoriali ed ospedalieri».

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