Al Pozzo e il Pendolo Paolo Cresta porta sul palco «Uno, nessuno e centomila»

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Un uomo, un uomo qualunque come si definisce lui stesso, un giorno come un altro, riceve un’osservazione da sua moglie: ” Guardatelo bene il naso, ti pende verso destra”. Questa semplice e, apparentemente, innocua frase trascina l’uomo, Vitangelo Moscarda, in abissi di riflessioni e considerazioni che gli scavano dentro.

Inizia a ricercare dentro di sé, nelle persone intorno a lui, scoprendosi, tormentatamente, Uno, nessuno e centomila, titolo del romanzo di Luigi Pirandello che Paolo Cresta porterà in scena sabato 11 marzo 2023 alle ore 21.00 (in replica domenica 12) sul palcoscenico del Pozzo e il Pendolo di Napoli.

Uno, nessuno e centomila è uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello. Iniziato già nel 1909 e rimasto a lungo in gestazione, uscì solo nel dicembre 1925 sotto forma di romanzo a puntate nella rivista La Fiera Letteraria, e in volume nel 1926.

In scena un uomo, solo, si rivolge direttamente al pubblico, proprio come il romanzo si rivolge direttamente al lettore. Racconta la sua storia, e nel farlo si confida, si confessa, rivive il suo lancinante viaggio interiore, inducendolo ad affermare che, oltre a tutto il resto, non ha più bisogno di un nome, perché i nomi convengono ai morti, a chi ha concluso. Lui è vivo, e non conclude. La vita non conclude, e non sa di nomi.

E’ così che, da un semplice specchio, superficie ambigua e inquietante, emerge per Vitangelo Moscarda, un volto di sé finora ignorato, provocando in lui una profonda crisi, fino all’agghiacciante consapevolezza che la sua immagine negli occhi degli altri è lontana anni luce da quella che ha di se stesso.

Da qui la presa d’atto ancora più inquietante: egli non è ‘uno’, come aveva creduto sino a quel momento, ma ‘centomila’, nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi ‘nessuno’. La realtà banale e paradossale dell’uomo, in relazione a se stesso e agli altri, è il filo rosso di una storia nella quale ciascuno di noi è costretto a riconoscersi.

Questo romanzo, l’ultimo di Pirandello, riesce a sintetizzare il pensiero dell’autore nel modo più completo. Fu l’autore stesso, in una lettera autobiografica, a definirlo come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”.

«E’ da questa scomposizione – sottolinea Paolo Cresta – che sono partito. Ho avuto come riferimenti visivi Bacon, Freud e Giacometti, ciò che resta dell’uomo spogliato di tutto. Le prime parole che faccio pronunciare a Moscarda non sono di Pirandello, ma sono tratte da una lettera di Alberto Giacometti. Parlano di un filo di polvere, un semplice filo di polvere, ma per lui, forse solo per lui, bellissimo».

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