La chiesa e l’Arciconfraternita di Sant’Antonio di Padova in Casagiove, da una descrizione del 1947 di don Nicolino Mastroianni

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I. La chiesa “allo ingresso del paese”

In occasione della Visita Pastorale che il presule casertano monsignor Bartolomeo Mangino, avrebbe compiuta tra la gente della Diocesi di Caserta nel 1947, venne inviato a tutti i parroci un questionario, attraverso il quale poter elencare tutti quei punti indispensabili riguardanti il passato ed il presente delle singole comunità parrocchiali. Oltre però alle chiese parrocchiali, il questionario prendeva in considerazione anche le chiese extra parrocchiali, come nel caso specifico, quella dell’Arciconfraternita di Sant’Antonio di Padova in Casagiove. A scrivere era stato il parroco di Santa Croce dell’epoca, don Nicola Mastroianni, nominato parroco di Casagiove appena tre anni prima dalla visita pastorale, nel 1944. Il titolare della chiesa, o meglio, i titolari della chiesa risultavano essere Sant’Antonio di Padova insieme con L’Immacolata Concenzione, e questa è(ra) situata “quasi allo ingresso del paese, venendo da Caserta, sulla sinistra” (in realtà a destra), inoltre essa, non risultava affatto “privata” ed apparteneva alla Congrega di Sant’Antonio. Sulla sua erezione, non vi era “alcun indizio preciso per fissare la data”, ed inoltre, cosa strana, “non è(ra) consacrata”. Attigua alla chiesa, vi era l’abitazione del signor Elpidio Ianniello, col quale “è(ra) interceduta qualche questione riguardante la schiavitù (servitù)”. La chiesa, inoltre, era caratterizzata da “qualche vano” che si adibiva a deposito, mentre, al di sotto della chiesa, vi era l’ossario, ove però non si seppellivano più i morti. A protezione della chiesa vi erano “porte sicure”, la cui chiave “è(ra) custodita dal sacrista”, con le quali la apriva “ogni qualvolta c’è(ra) una funzione sacra ed ogni domenica per la S. Messa e le riunioni di rito”. A curare la pulizia e l’ordine all’interno della chiesa “con puntualità e precisione”, vi erano le consorelle del Terz’Ordine Francescano Secolare. L’interno della chiesa era caratterizzato da tre altari, in più “due nicchie per santi sull’altare maggiore” (quelle contenenti le statue di Sant’Antonio di Padova e di Sant’Antonio abate). L’altare maggiore era eretto in onore della Vergine Immacolata, “la di cui statua è(ra) posta in un vano sovrastante all’altare”, mentre gli altri due altari laterali erano dedicati: uno a San Francesco d’Assisi, che pure ne aveva la statua del santo, l’altro invece, “appartenente a persona privata” era dedicato a Gesù Bambino. A questo punto, don Nicolino Mastroianni faceva notare che gli altari laterali erano “così ricchi di quadri, immagini, statue ecc…”, tanto da risultare difficile “conoscere il posto dovuto al sottoquadro”, perché le disposizioni liturgiche non erano “rigorosamente rispettate”. La parte absidale era caratterizzata dall’altare maggiore marmoreo, con il tabernacolo fisso, “interamente indorato”, la cui chiave era, in genere, custodita in sacrestia. La parte presbiteriale del sacro edificio, cioè dove il sacerdote celebra la messa, era all’epoca “ben diviso dal resto della Chiesa”, tramite un cancelletto in ferro battuto. Nella parte presbiteriale, di solito, prendevano posto soltanto i confratelli della Congrega, “data la ristrettezza del locale”. L’Arciconfraternita, basava la sua economia, anche sulle offerte elargite dai fedeli, tanto che, all’interno della chiesa vi erano “cassette fisse per le elemosine”, la cui responsabilità per la raccolta delle offerte, “secondo le consuetudini”, era affidata agli amministratori della Congrega che, nella maggior parte dei casi, non ne informavano mai il padre spirituale. Nella chiesa prestava servizio, come cappellano, il parroco della chiesa di San Francesco di Paola, don Michele Mingione, mentre, la mansione di sacrestano era affidata al signor Domenico Russo, “ammogliato”, la cui vita morale, però, “non è(ra) sempre approvabile, né quella della sua signora”. Infine, il padre spirituale nonché parroco di Santa Croce, don Nicola Mastroianni, lamentava alcune cose, specialmente riguardante la funzione amministrativa della Congrega: per primo, il fatto che non si era soliti “presentare i conti alla Reverendissima Curia”, poi, da diversi anni non era stato dato “conto dell’amministrazione” e ancora, nella chiesa della Congrega erano custoditi atti e documenti, senza però avere “un archivio ordinato”.

(Interno della chiesa prima dell’ultimo restauro conservativo)

 

II. Il Pio Sodalizio antoniano

Il titolo dell’Arciconfraternita è(ra) appunto di “S. Antonio di Padova”, fondata con Regio Decreto del 19 luglio 1800. La vita associativa della Congrega si basava sulle regole dettate dallo statuto, il quale era stato approvato nel 1800 da Sua Maestà Ferdinando IV di Borbone re di Napoli. ad incrementare il prestigio del Sodalizio fu senz’altro l’aggregazione all’Arciconfraternita di Sant’Antonio di Padova in Roma (aggregazione al Gonfalone di Roma) avvenuta il 6 novembre 1824 e che diede ai confratelli casagiovesi gli stessi diritti di quelli romani, come per esempio le indulgenze in determinati periodi dell’anno liturgico. Altro momento assai importante per la vita del Sodalizio casagiovese fu, nel 1920, l’elevazione al rango onorifico di “Arciconfraternita” avvenuta tramite il Breve Pontifico di Sua Santità Benedetto XV (il papa della Prima Guerra Mondiale).  Nel corso delle cerimonie pubbliche, i confratelli indossavano l’abito di rito formato dal camice bianco, sormontato dalla mozzetta “colore cremesi”, ornata da una fascia celeste. Benché lo statuto, specialmente l’ultimo, quello diocesano, che era stato emanato dal vescovo Natale Gabriele Moriondo nel 1939, dettasse delle norme ben precise, questo non si riusciva “a far rispettare sempre ed in tutto”. Lo scopo principale della Confraternita era, infatti, quello “di formare spiritualmente gli ascritti alla pietà cristiana” e, inoltre, per potersi iscrivere al Sodalizio, c’era bisogno di svolgere “6 mesi di noviziato”. A curare la parte spirituale della Congrega antoniana vi era il padre spirituale, nella persona del parroco di Santa Croce, don Nicolino Mastroianni, mentre, la funzione di cappellano era stata affidata al parroco della chiesa di San Francesco di Paola (Caserta), don Michele Mingione. Tuttavia, sulla figura dei cappellani non si spendevano parole tanto di riguardo, perché, da alcuni “considerati come d’inciampo”, da altri invece, forse dai più, “stimati”, invece, “da pochi scostumati” essi erano tollerati. I rapporti tra i confratelli e il padre spirituale, non dovevano essere poi tanto idilliaco, perché, a dire di don Nicolino, “secondo inveterate consuetudini”, facevano a modo loro, in special modo “provvedendo a tutto le terziarie del Terzo Ordine Francescano femminile”. Tuttavia, però, diceva lo stesso don Nicolino che “la maggioranza dei fratelli” erano “pronti ed assidui ai loro doveri”. In alcuni periodi particolari dell’anno, per interessamento del padre spirituale, venivano invitati nella chiesa della Congrega i predicatori, i quali poi, venivano retribuiti “con esigue offerte”. Tra i predicatori che giunsero a Casagiove anni dopo, precisamente nel 1968, si ricorda il francescano Innocenzo Massaro originario di Macerata Campania, ma residente in Avellino. Alcune feste, ritenute dal parroco don Nicolino, “più importanti”, facevano parte (ed alcune ancora oggi) del patrimonio devozionale dell’Arciconfraternita: queste celebrazioni avevano inizio nel mese di gennaio con la recita della novena “di S. Antonio Abate”, la tredicina in onore di Sant’Antonio di Padova, la novena “di S. Rosa da Lima” (nella chiesa della Congrega era custodita una statua della Santa peruviana), le Quarantore “il 5 settembre”, le funzioni del 2 novembre per la commemorazione dei defunti, la novena dell’Immacolata Concezione, il triduo in onore del serafico patriarca san Francesco d’Assisi, la festa del Bambino Gesù nel giorno dell’Epifania, la novena ai confratelli morti. I confratelli, poi, solevano prendere parte alla messa domenicale e alle festività esteriori in onore di Sant’Antonio di Padova. Sull’andamento amministrativo del Sodalizio, don Nicolino faceva trapelare qualche piccola lamentela, poiché, la Congrega non avendo rendite proprie, aveva una propria amministrazione, retta dal priore e dai consiglieri, “senza tenere informato, per niente il Padre Spirituale”. Infine, benché il Sodalizio fosse formato per lo più da uomini (fratelli di sacco, cioè che vestivano l’abito di rito), tuttavia risultavano iscritte delle consorelle, ma come sorelle di monte, le quali avevano diritto “all’accompagnamento ed alla sepoltura della Terra Santa”.

Fonti

  • Archivio dell’Arciconfraternita di Sant’Antonio di Padova in Casagiove, Carteggi ed Atti.
  • Archivio storico diocesano di Caserta, I.05.19.01. – Busta 11, Fascicolo 96

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