Procreazione assistita e social freezing: al sud un Centro di riferimento con 30 anni di esperienza
Il Centro di PMA dell'Ospedale Santa Maria di Bari, che quest'anno compie 30 anni, è tra i primi del Mezzogiorno per volume di pazienti trattati, provenienti anche dalla Campania
Bari, 27 gennaio 2021 – Secondo il Ministero della Salute, in Italia una coppia su cinque ha difficoltà a concepire un bambino, le coppie che ricorrono alla procreazione assistita, secondo la Relazione presentata al Parlamento sulla PMA nel 2019, sono salite a 78.366 nel 2017 (anno delle ultime rilevazioni) e i bimbi nati con questa tecnica sono 13. 973.
Ospedale Santa Maria di Bari, Struttura Ospedaliera Polispecialistica accreditata con il Servizio Sanitario Nazionale, è un punto di riferimento per il Sud Italia per la diagnosi, la terapia e la ricerca nell’ambito dell’infertilità maschile e femminile, con 30 anni di esperienza. Il suo Centro di Procreazione Medicalmente Assistita prevede un percorso completo di supporto alla coppia che presenta difficoltà al concepimento: dalla visita ginecologica e andrologica alla diagnostica per immagini, sino alle tecniche di aiuto di primo livello (inseminazione intrauterina) e secondo livello (fecondazione in vitro FIVET e iniezione introcitoplasmatica dello spermatozoo ICSI), crioconservazione del seme, degli ovociti e degli embrioni, senza dimenticare la consulenza psicologica, fondamentale per accompagnare la coppia durante tutto il percorso.
“Possiamo ritenerci dei pionieri in questo campo – spiega il dott. Pasquale Totaro, Responsabile del dipartimento di PMA dell’Ospedale Santa Maria –. Il Centro di PMA è stato inaugurato ufficialmente nel 1991 ma l’interesse per la fecondazione assistita risale a molti anni prima; infatti già alla fine degli anni Settanta avevamo una delle prime banche del seme in Italia e negli anni Ottanta eravamo tra i primi nella microchirurgia tubarica, grazie all’impegno costante del Prof. Vincenzo Traina, fondatore del Centro. Oggi siamo uno dei primi centri del Sud Italia, con più di 1.000 procedure l’anno, e da noi arrivano pazienti provenienti anche da Basilicata, Calabria, Campania e Molise. Le ragioni per le quali una coppia ha difficoltà a procreare sono diverse: da una parte l’ostacolo può essere rappresentato da patologie dell’apparato riproduttivo maschile o femminile, come prostatite o varicocele, fibromi, endometriosi, infezioni dell’utero o delle ovaie o ancora una predisposizione familiare alla menopausa precoce, dall’altro vi è l’età delle donne in cerca del primo figlio, che negli anni si è alzata”.
Secondo il Rapporto sulla PMA presentato dal Ministero della Salute al Parlamento nel 2019, l’età media delle donne che ricorrono a queste tecniche di concepimento è tra i 35 e i 39 anni, complice anche uno stile di vita che tende a procrastinare la ricerca della maternità. Ma con il passare degli anni, la fertilità e la qualità degli ovociti diminuiscono rendendo più difficile una gravidanza. Secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, trascorsi 12 mesi di rapporti regolari e non protetti senza che si verifichi una gravidanza è consigliabile rivolgersi allo specialista ma, superati i 35 anni, il suggerimento è di rivolgersi ad un centro specializzato già dopo 6 mesi di tentativi.
“La diagnosi tempestiva di eventuali patologie maschili e femminili che possono essere di ostacolo al concepimento consente di intervenire, rimuovere il problema e ripristinare le condizioni ottimali per una gravidanza – spiega il dott. Totaro –. Per questo è importante rivolgersi ad un centro qualificato dove poter effettuare test ed esami, a partire dallo spermiogramma (un esame che consiglio di eseguire già a partire dai 20-25 anni) che serve a valutare numero, motilità e morfologia degli spermatozoi, e dalla isterosalpingografia che serve a verificare la morfologia e la pervietà delle tube, condizione indispensabile per il passaggio degli spermatozoi. Altri successivi ed importanti esami diagnostici sono l’ecodoppler delle vene spermatiche, l’ecografia transvaginale e l’isteroscopia per valutare eventuali patologie uterine e ovariche e i dosaggi ormonali”.
Una volta ottenuto un quadro clinico completo, se la risoluzione delle cause non porta ancora ad una gravidanza, è possibile individuare il percorso terapeutico più appropriato partendo da approcci meno invasivi, o di primo livello, come l’Inseminazione intrauterina (IUI). La procedura IUI consiste nell’inserire, attraverso un piccolo catetere nella cavità uterina, spermatozoi del partner selezionati e potenziati con tecniche di capacitazione in vitro (cioè una selezione degli spermatozoi con migliore motilità e densità). Qualora l’inseminazione intrauterina risultasse inefficace, si procederà con la metodica di secondo livello, ovvero la Fecondazione in vitro (FIVET), che prevede l’aspirazione degli ovociti della donna dai follicoli, la successiva fecondazione in vitro con spermatozoi del partner e il reinnesto intrauterino. Nel caso in cui anche questa seconda opzione terapeutica non dovesse andare a buon fine, o in presenza di un numero di spermatozoi molto basso, si può tentare con la ICSI (Iniezione Intracitoplasmatica dello Spermatozoo), che prevede l’iniezione di uno spermatozoo in ciascun ovulo e il successivo trasferimento in utero degli ovuli correttamente fecondati.
“La percentuale di successo di queste terapie dipende sostanzialmente dalla qualità degli ovociti – spiega il dott. Totaro –. Mentre la spermatogenesi (produzione spermatica) è sempre attiva negli anni, le donne nascono con un “corredo di cellule uovo” che, con il passare degli anni, diminuisce e perde di qualità. Per questo, dopo i 35 anni, una donna che per vari motivi deve posticipare la gravidanza potrebbe considerare di ricorrere al Social Freezing, ovvero la Crioconservazione degli ovociti a scopo precauzionale. Gli ovuli congelati e reimpiantati in futuro infatti saranno sempre più giovani rispetto all’età biologica della paziente. Una possibilità di preservazione della fertilità anche per quelle donne che devono sottoporsi a terapie oncologiche destruenti”.
I campi di ricerca per il futuro della PMA sono rappresentati da intelligenza artificiale, ringiovanimento ovarico, test genetici sempre più precisi e laboratori all’avanguardia con impiego di cellule staminali. Si lavora sempre in direzione di tecniche che garantiscano tassi di successo più alti.
“Ma il primo passo per poter guardare al futuro con fiducia – conclude il dott. Totaro – è capire l’importanza di una corretta prevenzione e quindi di una corretta informazione ai nostri giovani, poi chiaramente di una diagnosi tempestiva di infertilità, di cure mirate e, laddove necessario, della conservazione dei propri gameti come investimento per il domani”.
Il Centro di PMA di Ospedale Santa Maria ha continuato a erogare i suoi servizi anche durante la pandemia, nel rispetto delle disposizioni ministeriali e delle indicazioni della SIRU (Società Italiana della Riproduzione Umana).