La cappella gentilizia intitolata alla Madonna Addolorata della famiglia Silvagni, eretta in Casanova (Casagiove) nel 1864

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Introduzione

Diversi luoghi all’interno dell’assetto architettonico, quanto urbanistico, hanno in passato, seppur nel loro piccolo, fatto parte della storia di una comunità: nel caso specifico, Casagiove. E’ possibile allo stato attuale, poter rivedere questi “luoghi della memoria” soltanto attraverso vecchie fotografie, provvidenzialmente giunte fino a noi oggi. Non era cosa affatto rara che le famiglie, specialmente benestanti e di nobile stirpe, erigessero all’interno delle loro sfarzose abitazioni, cappelle gentilizie, molte delle quali poste con l’entrata sulla strada, in modo da poter far accedere anche i passanti, per recitare durante la giornata una preghiera, perché no, anche a vantaggio delle famiglia proprietaria del sacro luogo. Non erano poche, infatti, nell’ abitato dell’allora Casanova, le cappelle gentilizie presenti e di cui oggi, ne è rimasta memoria soltanto grazie alle carte d’archivio. Specialmente attraverso le cosiddette “Visite Pastorali” svolte periodicamente nel tempo dai vescovi, è possibile appurare la presenza di luoghi di culto che purtroppo, non sono più presenti in una determinata comunità. La costruzione di queste cappelle “familiari”, ci fa comprendere come in passato, fosse assai sentito il fervore religioso. Purtroppo però, l’essere umano, “animale dotato di ragione”, il più delle volte ha messa da parte la ragione, facendosi prendere fin troppo dall’ istinto animalesco, radendo al suolo, architetture raffinate che componevano i centri storici urbani. Anche Casagiove, purtroppo, non è sfuggita nel corso del tempo, a questa voglia talvolta insensata di distruggere la memoria storica attraverso un bel palazzo ed una cappella, per far posto ad architetture fatiscenti che, niente hanno a che vedere con i casamenti dell’epoca. Le cappelle gentilizie però, nella maggior parte dei casi, avevano sorte in un certo senso migliore, anche se venivano declassate dal loro ruolo legato al culto e alla devozione, diventando in molti casi veri e propri “depositi” di cianfrusaglie varie.

I. Alcune notizie sulla famiglia Silvagni

Secondo quanto affermato da Luigi Rotondo in un suo scritto apparso nel volume intitolato “Ristampe Capuane”, edito nel 1986 per conto degli “Amici di Capua”, la famiglia Silvagni “trae(va) la sua origine dalla Calabria, e propriamente da Grimaldi” (Comune in Provincia di Cosenza). La notizia di queste origini calabresi, trovava riscontro, sempre a dire del Rotondo, “dai Registri Parrocchiali di San Giovanni dei Nobili Uomini, da una dichiarazione dei Giurati ed Eletti Sindaci dell’Unita Terra di Grimaldi”. Tale notizia si conservava presso il signor Arturo Silvagni, “Generale in posizione ausiliaria, residente in Roma” e da altri documenti che erano stati forniti da Ferdinando Minervini – Silvagni. Il fatto che la famiglia si trovasse a Capua, dimorante presso la casa situata “nella piazza la più antica e la più centrale di Capua, la cosiddetta piazza dei Giudici”, lascia pochi dubbi sulla nobiltà del casato, anche se, risulta tuttavia complicato capire come mai nel Settecento, un tal Francesco Silvagni, fissò la sua dimora in Capua. Tra i membri dei Silvagni che, probabilmente, hanno lasciato un caro ricordo nel circondario di Caserta e più precisamente a Casagiove, merita menzione il cavalier Pasquale Silvagni. Quest’ultimo, figlio di Raffaele e della nobil donna Teresa Fusco di Casagiove, “ivi questi posò i suoi penati, fissandovi la sua abituale e prediletta dimora”. Pasquale Silvagni, come pure tramandato dalle numerose testimonianze, non solo documentarie, ma tramandate anche di padre in figlio, passò la maggior parte della sua vita proprio a Casagiove. Una volta conseguita la laurea in Legge, “cominciò a far parte delle pubbliche Amministrazioni, e fu più volte Componente e Presidente della Congregazione di Carità, Consigliere e Sindaco del Comune di Casagiove”. Durante la “sua lunga e saggia amministrazione ebbe a cuore la pubblica istruzione, aumentando le classi elementari, e formando nuove aule scolastiche”. Nel corso del suo governo sindacale, Pasquale Silvagni, attraverso soprattutto “l’economie sulle pubbliche aziende”, acquistò e ingrandì la Casa del Comune e inoltre si videro pure “aperte nuove vie, eseguite le fognature, lastricate le strade, fondato l’ufficio postale – telegrafico, ampliato il cimitero”, ideando anche un piano regolatore “per nuove costruzioni murarie”.

 

II. Raffaele Silvagni chiede di poter erigere la cappella gentilizia

Il 27 aprile 1864, Raffaele Silvagni, “nativo di Capua, ed ora domiciliato in Casanova di Caserta” padre del più noto sindaco di Casagiove, Pasquale Silvagni, aveva “chiesto il debito permesso di fondare una cappella gentilizia e pubblica nel recinto della sua casa di abitazione in detto paese”. Tale domanda era stata inoltrata alla Curia vescovile di Caserta, governata in quel periodo dal vescovo monsignor Enrico De Rossi. Una volta ottenuta “regolare autorizzazione dal Vescovo della diocesi di Caserta”, alla cui giurisdizione apparteneva “il locale destinato all’uopo”, il Silvagni avrebbe proceduto a formulare una dichiarazione che sarebbe rimasta “depositata nelle mani del prelodato Vescovo come titolo obbligatorio da ora ed in futuro”, sia per lui, quanto per i suoi “eredi e successori”, ai quali veniva imposto “lo adempimento delle medesime condizioni”, le quali vennero scritte “volontariamente” in ben quattro Articoli. In primis la cappella doveva essere “gentilizia e pubblica con parte sporgente alla strada per comodo del popolo”. In secondo luogo, invece, la medesima cappella doveva essere posta sotto il titolo della “SS. Vergine Addolorata”. Rimaneva poi, al fondatore ed ai suoi eredi “l’obbligo espresso di mantenere la cappella medesima in uno stato decente quanto alle fabbriche, alle altaristiche, ed al resto di sacri arredi”. In ultimo, era previsto che, ogni anno, dovevano celebrarsi “sette messe di obbligo, cioè nel giorno dedicato alla titolare, venerdì di passione, festa di S. Giuseppe, festa dello Arcangelo Raffaele – ventiquattro ottobre, festa di S. Teresa – quindici ottobre, festa di S. Pasquale – diciassette maggio, festa di S. Ferdinando – 30 maggio, ed in ultimo nella festa di S. Anna”. Appariva del tutto chiaro che tali messe da celebrarsi nei predetti giorni intendevano venerare quei Santi dei quali i componenti della famiglia di Raffaele Silvagni ne portavano il nome.

 

III. Il vescovo di Caserta approva l’idea di Raffaele Silvagni

Una volta che il vescovo di Caserta, monsignor De Rossi, analizzò attentamente la domanda di Raffaele Silvagni, in data 2 giugno 1864, comunicava anche egli delle regole da seguirsi. Considerando quindi che la cappella che si sarebbe dovuta costruire, andava a vantaggio per la “maggior gloria di Dio” ed anche a vantaggio del pubblico, si procedette dunque, spinti dalla “pietà del fondatore”, ad autorizzare la facoltà di edificare la cappella, senza tuttavia intaccare “i diritti Parrocchiali e di questa Mensa (vescovile)”. La nuova cappella poteva avere “la porta sulla strada pubblica” e non doveva esistervi “nessuna servitù”. Era opportuno precisare, sempre da parte del presule casertano che “nella stessa”, non dovevano essere amministrati i Sacramenti, senza ovviamente “la licenza del Parroco”. La prima messa che doveva essere celebrata, dopo la costruzione della cappella, doveva essere officiata insieme al Vescovo, o almeno da un Deputato autorizzato dalla Curia casertana, mentre, per il resto dell’anno però, veniva “concessa la facoltà di celebrarsi”. Inoltre, nella stessa data, dalla Santa Sede, La Sacra Congregazione dei Riti, aveva concesso a tutta la famiglia Silvagni, “di poter ascoltare la Messa dal Coretto” della cappella.

Fonti

  • Amici di Capua (a cura degli), Ristampe Capuane, Napoli 1986.
  • Archivio Storico Diocesano di Caserta, Istituti e Affari diversi serie I.07.05.01., busta 24, fascicolo 426.

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