La chiesa parrocchiale di Santa Croce in Casagiove descritta in un verbale “di consegna” del 1939
Per la consultazione dei documenti, un ringraziamento doveroso va rivolto al parroco don Lorenzo Maggetto, per averci messo a disposizione le “polverose” carte dell’Archivio storico parrocchiale, da dove appunto sono state estrapolate le notizie riguardanti il presente scritto. E’ opportuno precisare che, volutamente, si è deciso di omettere dal discorso l’elencazione di tutti gli oggetti, specialmente suppellettili e parati sacri, per non appesantire troppo il discorso.
I. La presa di possesso del parroco don Vincenzo Tartaglione
Il 16 settembre 1939, nella chiesa parrocchiale di Santa Croce, alla presenza dell’Amministratore Diocesano, canonico don Antonio Nasta, “in esecuzione delle disposizioni” emanate dall’allora vescovo di Caserta, monsignor Natale Gabriele Moriondo, si era proceduto alla presa di possesso “del cennato beneficio parrocchiale”, vacante dal 16 aprile 1939. Il parroco che fino a quel momento aveva guidato la comunità cristiana di Casagiove, don Michele Cerreto fu Salvatore, venne trasferito alla parrocchia di San Pietro Apostolo in Maddaloni (Chiesa Collegiata). Al momento della redazione del verbale “di possesso” era presente anche il Rappresentante del Regio Governo, ragionier cavalier Vincenzo Donato, il quale ricopriva la carica di Ragioniere Capo dell’Ufficio Culti presso la Regia Prefettura di Napoli. Il parroco don Michele Cerreto faceva quindi “consegna della Chiesa, suppellettili ed arredi sacri, dei libri, dei documenti e delle temporalità beneficiarie ed ecclesiastiche” al parroco don Vincenzo Tartaglione di Antonio, “nuovo titolare del detto beneficio parrocchiale”, il quale aveva ricevuta la nomina con Bolla Vescovile del 6 luglio 1939.
II. La descrizione della chiesa parrocchiale
Una volta fatte le dovute premesse e sbrigate le solite formalità, ci si apprestava a redigere un inventario completo di come all’epoca appariva la chiesa, cosa era custodito al suo interno e quali erano i fondi rustici di proprietà della parrocchia. La chiesa, “in stile romano”, ad una sola navata con il soffitto “a lamia” e il pavimento “a mattoni”, all’epoca appariva in condizioni statiche buone ed era “assicurata contro gli incendi presso la Compagnia Anonima di Assicurazione di Torino”. All’entrata della chiesa “vi è(ra) un tamburato di legno”, mentre al suo interno erano poi presenti l’altare maggiore in marmo, la cui porticina del tabernacolo “nell’interno è(ra) foderato con lamina di ottone”, il presbiterio risultava chiuso da una balaustra di ferro, l’armadietto contenete gli oli santi si trovava invece “nella parte sinistra dell’altare maggiore”. L’altare maggiore poi, risultava sovrastato da ben diciotto candelieri di ottone “sei grandi, otto piccoli e quattro di media grandezza”. Tra gli arredi e le suppellettili sacre, risultavano presenti due confessionali “ed un pulpito pensile di legno”, un organo “in buone condizioni”, un inginocchiatoio, nove banchi “di uso comune”, di cui otto “con spalliere” e uno “semplice”. Oltre all’altare maggiore, nella chiesa erano presenti altri due altari laterali “pure di marmo”. Sull’altare di destra si trovavano “un crocifisso di metallo con dieci candelieri di ottone, un quadro della Vergine di Pompei ed una raggiera di ottone per quattro candele con in mezzo una lampadina elettrica”. Mentre, l’altare di sinistra che si trovava “in una cappelletta, dedicata all’Addolorata” ed era chiusa “da balaustra di ferro”. L’altare in questione era caratterizzato anch’esso da “un crocifisso di ottone, di sedici candelieri sei grandi, sei piccoli e quattro di media grandezza, tutti di ottone”. Al centro dell’unica navata, prendeva posto pendendo dal soffitto, “un lampadario di ferro con quattro lampadine a luce elettrica”. Il corredo iconografico del sacro luogo era caratterizzato specialmente da “statue sacre”, di cui tre in cartapesta: quella dell’Addolorata, della Vergine del Rosario, di Gesù morto e di Gesù risorto. Soltanto due sculture erano in legno: quella raffigurante San Raffaele Arcangelo con il giovane Tobia e quella raffigurante Sant’Alfonso Maria de Liguori, quest’ultimo del tipo a manichino “con veste”. Non mancava pure la presenza di quadri dal tema ovviamente sacro: “Su tela, uno grande sull’altare maggiore, rappresentante l’invenzione della Croce” ed altri due posti ai lati dell’altare maggiore, raffiguranti: il Sacro Cuore di Gesù ed il Sacro Cuore di Maria. Altri quadri, occupavano le pareti della chiesa: quello di San Giuseppe “in oleografia”, la Madonna delle Grazie, Santa Teresa del Bambino Gesù, La Vergine del Monte Carmelo, Santa Rita da Cascia, Sant’Emidio vescovo e martire (patrono di Ascoli Piceno e protettore contro i terremoti), Sant’Anna, la Discesa dello Spirito Santo. Vi era poi un altro “grande quadro” effigiante la Vergine Maria col Bambino, quattordici quadri della Via Crucis “con braccio di ottone e candela elettrica”. La sacrestia della piccola chiesa parrocchiale si trovava, in quel periodo, “in buone condizioni” ed al suo interno si conservavano due Croci “con asta”, un ferro “a croce” per la celebrazione delle Quarantore, quattro grandi candelieri “di legno per funerali”, un ombrellino “di seta rossa, per viatico”, un armadio “di legno noce”, un inginocchiatoio, un quadro “con cornice di legno per l’apparecchio alla S. Messa”, una cassapanca, due attaccapanni, tre croci di cui “due per la Via Crucis e l’altra con l’immagine del Redentore”. All’esterno della chiesa, si poteva osserva la facciata semplice, la quale appariva “in discrete condizioni” e “sormontata da una croce di ferro”. La porta di ingresso, invece, era “a due battenti e ben munita”. Il campanile appariva “in buone condizioni” ed era munito di “tre campane di diverse dimensioni”. Il piccolo atrio, era invece indicato nel documento come “piccolo piazzale ad uso giardinetto con un’immagine su zinco della Madonna delle Grazie”. L’entrata al piccolo atrio parrocchiale “è(ra) munito di un cancello di ferro”. La Canonica, attigua alla chiesa parrocchiale, “è(ra) composta di due vani superiori e di due terranei con pochi metri quadrati di terreno per uso di cortile”. La detta Canonica, inoltre, “è(ra) fornita di impianto elettrico” e in generale la struttura si trovava “in discrete condizioni di statica e di manutenzione”.
III. I fondi rustici e l’economia parrocchiale
Come tutte le chiese, anche quella parrocchiale di Santa Croce in Casagiove era proprietaria di alcuni terreni. Il fondo “detto Cerasolla in tenimento di Casapulla”, che era diviso in due appezzamenti, il primo “di are 15,19 pari a passi 14”, l’altro invece, “di circa are 51,65 pari a passi 50”. Questo fondo rustico confinava ad est “con la parrocchia di S. Eligio di Capua”, ad ovest “con la proprietà D’Albore”, a nord “con i beni Iannotta”, a sud “con l’Alveo Marotta”. Il terreno, per far si che venisse curato, venne dato in affitto al colono Giovanni De Blasio fu Pietro di Coccagna, “per l’annuo estaglio di Lire 510”. Un altro fondo denominato “S. Paolo in tenimento di Casagiove”, era “di are 43,80 pari a passi 40” e confinava ad est e a sud “coi beni di Pasquale Menditto”, a nord “coi beni di Tiscione”, ad ovest “con i beni del Monte di Pietà di Napoli”. Anche questo terreno, risultava affittato alla vedova Teresa Altieri, “per l’annuo estaglio di Lire 525,00”. Un altro fondo denominato sempre “S. Paolo” e sempre situato “in tenimento di Casagiove”, era “di circa are 97,52 pari a circa moggia tre” e confinava ad est e a nord “con la proprietà Galati”, ad ovest “con la strada comunale”, a sud “coi beni Mauro”. Il terreno era stato dato in fitto a Luigi e Giuseppe Cepparulo fu Matteo, “per annue Lire 1100,00”. Il fondo denominato “S. Commaia, in tenimento di Caserta” era “di are 37,60 pari ad un moggio” e confinava ad ovest “con la strada comunale”, a sud “con la strada di circonvallazione”, a nord “coi beni Corciolino”, ad est “con la proprietà Imprighi”. Affittuario del terreno era Girolamo Maiello di Caserta, “per annue Lire 500,00”. Infine, nel “tenimento di S. Clemente” (Caserta) vi era un fondo detto “Cava”, il quale era caratterizzato “di are 26,55 pari a passi ventuno” e confinava “con la strada provinciale, con la ferrovia Adriatica e con una conetta per lo scolo dell’acqua”. Il terreno era stato dato in affitto ad Antonio Zampella, “per annue Lire 150,00”. Complessivamente quindi, i fondi rustici di cui la parrocchia di Santa Croce era proprietaria, equivalevano “di ettari 2, are 72 e centiare 31, pari a circa moggia 8”. I Censi “attivi” erano così caratterizzati: censo pari a 5,10 Lire dovuto da Luigi Tescione fu Donato e da suo figlio Francesco, un altro censo sempre di 5,10 Lire dovuto da Francescantonio Vozza fu Giuseppe, ed un altro censo ancora pari a 10,70 Lire dovuto da Giuseppe Santonastaso fu Cesare e Concetta Santoro e dal figlio Giuseppe Santonastaso. Un canone di 29,75 Lire era invece dovuto dalla signora Teresa Santabarbara di Ruviano di Caiazzo, come pure dalla signora Rosa Lamberti, “maritata Cappuccio”. Risultava altresì, importanti, in quel periodo, i cosiddetti “Pesi a carico della Parrocchia”, cioè le spese da effettuarsi per alcune azioni: le spese di culto di 525,00 Lire, l’imposta sui fabbricati di 60,90 Lire, l’imposta e sovrimposta di 1152,80 Lire, l’assegno all’Economo o Coadiutore di 600,00 Lire, la manutenzione della chiesa e della canonica di 300,00 Lire, le spese per l’adempimento dei legati di 472,00 Lire, l’assicurazione contro gli incendi di 28,00 Lire.
IV. Le conclusioni
Effettuata pertanto “la presente consegna” della chiesa parrocchiale, il parroco uscente, don Michele Cerreto, dichiarava “di non avere altro a consegnare”. Allora il canonico Nasta e il ragionier Donato dichiaravano e consegnavano ogni diritto e le relative “temporalità beneficiarie ed ecclesiastiche della Parrocchia”, al neo parroco Tartaglione, il quale, “a norma dei Sacri Canoni, ha(veva) prestato giuramento per la buona e fedele amministrazione”.
Fonti
Archivio Storico della Parrocchia di Santa Croce in Casagiove. La documentazione è conservata in un unico pacco e non segue alcun ordine inventariale.
(L’interno della chiesa parrocchiale di Santa Croce, in una foto d’epoca, durante la celebrazione di un matrimonio)