Intervento Di Maria al convegno di Confindustria Benevento

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Intervenendo alla presentazione Rapporto Centro Studi di Confindustria Benevento su “Dove a l’economia sannita” presso l’Auditorium San Vittorino, il Presidente della Provincia di Benevento Antonio Di Maria ha dichiarato:

«Attraversiamo una congiuntura economica davvero pericolosa. Se non fermiamo la nuova recessione e facciamo ripartire l’apparato produttivo con un’azione sinergica tra Istituzioni locali, Regioni, mondo imprenditoriale e sindacale e Governo centrale si annunciano per il Mezzogiorno tempi, se possibile, ancora più duri degli attuali.

La perdita di poli produttivi al Sud si traduce, oltre che in meno posti di lavoro ed un crollo del PIL, anche in sempre minori entrate per gli stessi Comuni: non è un caso che la gran parte degli enti locali in dissesto siano meridionali (al di là di eventuale “mala gestio”). Se assumiamo, ad esempio, a criterio di valutazione l’offerta dei servizi sanitari, su scala nazionale, noi constatiamo che i “viaggi della speranza” dei pazienti del Sud verso gli Ospedali del Nord si traducono in un circolo vizioso di sempre maggiori trasferimenti di risorse finanziarie nella macro-area settentrionale con ulteriori impoverimento di quella meridionale.

Occorre, dunque, rivedere il nostro ordinamento degli enti locali.

Purtroppo, in questo senso, i segnali che vengono dal Governo centrale non sono rassicuranti: al contrario, l’autonomia regionale ad una delle Regioni più ricche del Paese, il Veneto, ormai in dirittura d’arrivo, penalizza ulteriormente il Sud.

Il fatto è che, cancellando un Ente di prossimità quale la Provincia, ente esponenziale dei bisogni di area vasta e che aveva comunque il potere di coordinare gli interventi sul territorio e quindi di attrarre risorse economiche da fonti finanziarie europee, è stata consegnata la politica di programmazione alla sola Regione, inevitabilmente interessata, a ragione del numero di rappresentanti eletti nel Consiglio, a guardare all’area metropolitana e a non a quelle deboli.

Invece, la programmazione strategica di sviluppo su scala nazionale e regionale deve innanzitutto essere calibrata sulle reali e diversificate esigenze esistenti tra i territori metropolitani e quelli interni: a fronte di problematiche divergenti se non opposte, occorrono misure di contrasto diversificate rispetto a criticità che non sono per nulla (o quasi) equiparabili. Non è possibile, ad esempio, che le risorse finanziarie siano destinate solo in rapporto alla popolazione residente senza tenere conto del parametro della superficie territoriale.

La lotta alla desertificazione sociale della zona appenninica, mediante una fiscalità di vantaggio, è una priorità assoluta; così come la battaglia per rendere pregna di contenuti reali la pur pregevole legge a tutela dei piccoli borghi. Del resto, è improcrastinabile l’impegno a salvare anche fisicamente il territorio, ripristinando quella funzione da sempre svolta dalla classe contadina di manutenzione delle colline e delle montagne assolta: lasciarle franare a valle comporta costi finanziari ed umani insostenibili.

Non c’è peraltro alcuna sensibilità né a livello regionale, né nazionale, rispetto alle ricchezze autentiche del territorio interno da sfruttare anche ai fini turistici: le bellezze paesaggistiche e le dotazioni archeologiche, culturali, artistiche e storiche.

Va aggiunto che l’attuale aggressione delle multinazionali ai territori montani si traduce in un vantaggio esclusivo per loro stesse che sfruttano le opportunità e agevolazioni finanziarie per gli impianti eolici lasciando al territorio solo un pesante impatto ambientale e nessun ristoro economico.

Bene ha fatto Confindustria Sannio ad invocare in questi ultimi mesi una ripresa degli investimenti pubblici per le infrastrutture in particolare stradali e ferroviarie: oggi ci troviamo al cospetto di una vera e propria emergenza, quella della mobilità negata, soprattutto da e verso i piccoli Comuni e borghi delle aree interne. Questa criticità è un colpo al cuore anche a comparti economici di eccellenza, come quello enogastronomico, perché le produzioni tipiche e le qualità esclusive locali registrano pesanti limiti nell’emergere dall’ambito puramente locale e di presentarsi su un proscenio nazionale per la competizione globale».

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