A proposito di giustizia e prescrizione… di Fioravante Bosco
Il governo Conte, dopo giorni di scontri, ha deciso di posticipare al 2020 l’entrata in vigore del blocco della prescrizione nel processo penale, un provvedimento – che se approvato – farà sì che una volta giunti alla sentenza di primo grado i processi non potranno più concludersi con l’estinzione del reato, indipendentemente da quanto tempo sarà trascorso. La decisione è il frutto di un compromesso tra il Movimento 5 Stelle, che a sorpresa aveva introdotto il provvedimento nel decreto legge anti-corruzione, e la Lega, che invece è contraria a modificare la prescrizione senza una complessiva riforma del processo penale.
Come spesso accade, anche questo compromesso lascerà quasi tutti scontenti. Gli avvocati penalisti – che lo contestavano fin dall’inizio – hanno annunciato lo sciopero, mentre diversi esponenti della Lega sostengono che il provvedimento andrà modificato ancora in futuro. I giornali parlano di delusione anche tra i parlamentari del Movimento 5 Stelle, mentre l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Piercamillo Davigo, favorevole al blocco, dice che se ne vedranno gli effetti soltanto “dopo che sarò morto”.
Ma come funziona la prescrizione, e perché è un tema così controverso?
La prescrizione è una forma di garanzia per gli imputati contro l’eccessiva lunghezza dei processi, è uno strumento che lo Stato può utilizzare quando non è più interessato a perseguire alcuni reati. In sostanza, la prescrizione fa sì che trascorso un certo tempo da quando un reato è stato commesso, quel reato si estingue e diventa non più perseguibile. L’idea alla base della norma è che nessuno – tra proroghe delle indagini, processi lunghissimi e magari da ripetere – possa e debba restare sotto processo per un tempo irragionevole (potenzialmente a vita), con gli enormi costi economici e personali che questo comporta. Ma anche perché tra il presunto reato e la condanna debba passare un tempo ragionevolmente breve, perché abbia senso fare giustizia. La prescrizione è diffusa in varie forme in tutti i paesi europei, e negli Stati Uniti. In Italia però la prescrizione è un tema altamente politicizzato dai tempi di Silvio Berlusconi, quando una serie di leggi accusate di essere “ad personam”, cioè fatte per favorire l’ex-Cavaliere e i suoi alleati, portò a una netta riduzione dei suoi tempi. Da allora molte persone pensano che la prescrizione sia uno strumento che serve ai potenti per sfuggire alla giustizia. In Italia sono soggetti alla prescrizione tutti i reati che tra le loro pene non prevedono l’ergastolo. La prescrizione scatta quando, dal momento in cui è stato commesso il presunto reato, trascorre un numero di anni pari alla pena massima prevista per quel reato, con un minimo di sei; quattro invece per le contravvenzioni, che sono per esempio le violazioni dei regolamenti ambientali. Alcuni atti nel corso del procedimento, dall’ordinanza di arresto alle sentenze, “interrompono” il corso della prescrizione, cioè fanno ripartire da zero il conteggio. Queste interruzioni però non possono rimandare all’infinito la prescrizione, che arriva in ogni caso quando sono trascorsi i termini previsti, cioè un tempo pari alla massima condanna prevista per quel reato, più un quarto: questo è il meccanismo che fa più spesso scattare la prescrizione. Il reato di corruzione per esercizio delle proprie funzioni, per esempio, prevede una pena massima di sei anni: quindi si prescrive entro 7 anni e sei mesi dal momento in cui viene commesso, indipendentemente da eventuali interruzioni che abbiano fatto partire il riconteggio nel corso del procedimento. Lo scorrere della prescrizione viene invece effettivamente fermato nel caso delle “sospensioni”, per esempio quando la difesa dell’imputato chiede di rimandare un’udienza (quindi il nostro processo per corruzione può effettivamente durare più di 7 anni e sei mesi dal momento in cui viene commesso il reato, ma solitamente non molto di più visto che le “sospensioni” sono per lo più di breve durata).
In Italia oggi circa il 10 per cento dei procedimenti finisce in prescrizione, un dato in calo rispetto al massimo raggiunto nel 2004, quando se ne prescrissero quasi il 15 per cento, ma in aumento rispetto al 2012 quando se ne andarono in fumo il 7,8 per cento. Secondo gli ultimi dati disponibili, che risalgono al 2014, i processi per i cosiddetti “reati dei colletti bianchi” – quelli dei funzionari, degli imprenditori e dei dipendenti della pubblica amministrazione – finiscono in prescrizione in media un pò più spesso degli altri. Difatti, il 12,5 per cento dei procedimenti per reati contro la pubblica amministrazione e il 13,2 per cento dei reati societari finiscono estinti per prescrizione.
Nella maggioranza dei casi, più del 60 per cento delle volte, la prescrizione scatta in fase di indagine: prima ancora che inizi il processo. Questo avviene perché i reati vengono scoperti troppo tardi e quindi non c’è tempo sufficiente per terminare le indagini, oppure perché le indagini vanno molto per le lunghe e vengono più volte prorogate, o più spesso perché le procure a corto di personale sono costrette a trascurare i fascicoli dei reati minori per concentrarsi su casi più importanti, lasciando che i primi cadano in prescrizione. Attualmente si stima infatti che ai tribunali italiani manchino circa 10 mila dipendenti per poter funzionare a pieno regime. I critici dell’attuale sistema sostengono che, per come è regolata in Italia la prescrizione crei un forte incentivo a non utilizzare forme alternative più rapide per arrivare a un giudizio (per esempio il rito abbreviato), e incoraggi gli imputati a fare appello ai vari gradi di giudizio nel tentativo di allungare il procedimento e ottenere così la prescrizione. Sempre secondo i critici, la prescrizione in questa forma viene usata in particolare dai colpevoli di reati da “colletti bianchi”, che avendo spesso pene relativamente basse vengono prescritti rapidamente.
I difensori dell’attuale sistema sostengono invece che sia una forma essenziale di protezione dell’imputato dalla lunghezza dei processi, che in Italia è un problema particolarmente grave, e che serva a tutelare gli imputati anche da eventuali abusi dei magistrati. La Costituzione italiana, infatti, garantisce processi di durata ragionevole, e senza prescrizione questa disposizione rischierebbe di essere lasciata disattesa in molti casi. In Italia i processi penali di primo grado durano in media il doppio che in Germania, mentre quelli d’appello durano più del triplo.
Nel corso degli anni quasi tutte le principali istituzioni europee e internazionali, dalla Commissione europea al Consiglio d’Europa passando per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), hanno suggerito all’Italia di modificare il funzionamento della prescrizione, e adeguarlo ai sistemi in vigore nel resto d’Europa, con lo scopo in particolare di garantire una maggiore certezza della pena nei confronti dei reati commessi dai “colletti bianchi”.
Come funziona nel resto del mondo
In Francia il conto alla rovescia della prescrizione riparte in seguito a qualunque attività giudiziaria sul caso, e non è previsto un “termine massimo” oltre quale scatta la prescrizione come in Italia: finché ci sono udienze e finché i giudici sono attivamente al lavoro sul procedimento, quindi, la prescrizione non scatta mai. In Germania vige un sistema simile, ma come in Italia esiste un tempo massimo oltre il quale non si può andare: il doppio del termine massimo di prescrizione (in Italia, come abbiamo visto, è un quarto in più e si arriva al doppio solo in casi molto particolari). In Spagna la prescrizione è sospesa fino a che il processo in corso non è terminato, e si blocca quindi dall’inizio del processo alla sua fine, scorrendo soltanto nelle fasi intermedie. La Grecia è uno dei pochi paesi ad avere un sistema simile a quello italiano, in cui lo scorrere della prescrizione può essere sospeso ma il conteggio non ricomincia mai, e quindi un processo può estinguersi per prescrizione a pochi giorni dalla sentenza.
Il sistema italiano quindi è attualmente piuttosto peculiare in Europa e, tra i principali paesi dell’Unione, è simile soltanto al sistema greco. Rispetto a quello di sistemi giudiziari molto simili al nostro, come quello francese, è più favorevole agli imputati, stabilendo una durata massima del procedimento relativamente breve per molti casi.
Cosa cambierebbe se venisse approvata la proposta del M5 Stelle?
Il Movimento 5 Stelle ha deciso di intervenire sulla prescrizione a sorpresa, presentando un emendamento al decreto anti-corruzione già approvato dal Governo e in fase di conversione in legge alla Camera. Il gesto ha colto alla sprovvista gli alleati della Lega e ha portato a uno scontro tra i due partiti, che si è concluso con la mediazione di cui parlavo prima. L’emendamento presentato dal Movimento 5 Stelle sarà approvato, ma i suoi effetti entreranno in vigore a partire dal primo gennaio 2020.
L’emendamento consiste in poche righe che hanno l’effetto di bloccare completamente la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia in caso di assoluzione che di condanna. In altre parole, una volta emessa la sentenza di primo grado un procedimento penale potrebbe teoricamente durare all’infinito, fino alla morte degli imputati. La Corte d’appello, cioè il tribunale che si occupa del secondo grado, potrebbe dimenticarsi il fascicolo, ma anche dopo 20 o 30 anni l’imputato sarebbe ancora tale: il processo potrebbe ricominciare in qualsiasi momento.
Se venisse confermato, quindi, il provvedimento porterebbe l’Italia da una situazione peculiare a un’altra situazione del tutto particolare. In quasi tutta Europa, infatti, i termini della prescrizione sono più severi che in Italia, ma sono comunque previsti dei termini, in modo che gli imputati dimenticati per decenni dalla giustizia non rischino di trovarsi improvvisamente di nuovo coinvolti in un processo. Con questo sistema, invece, non ci sarebbe alcun limite una volta emessa la sentenza di primo grado. Una situazione simile a quella del Regno Unito, dove però vige un sistema giudiziario completamente differente.
In definitiva, qualora venisse cancellato l’istituto della prescrizione, in sfregio al
principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della presunzione di
innocenza, il tempo del processo non verrebbe più deciso dalla legge, ma dalla scelta
arbitraria del magistrato, il quale potrebbe fissare le udienze quando vuole tanto il
reato non si prescriverebbe più! Insomma, l’imputato rimarrebbe impiccato alla
sentenza di primo grado per molti anni.
* Segretario generale aggiunto Uil Avellino/Benevento